giovedì 11 settembre 2014
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Ottobre 1981. A Viterbo si celebra un processo, uno dei tanti in quegli anni di sangue, che porta alla luce quanto lunga sia ancora la strada per uscire dall’incubo dopo i primi arresti di massa e quanto inadeguati gli strumenti a disposizione. Un pentito di Prima Linea, Michele Viscardi, confessando la partecipazione all’omicidio di due carabinieri a un posto di blocco consente di far luce su tutti i responsabili, compresi i capi Sergio Segio e Maurice Bignami. Confessa anche un imputato minore, Roberto Vitelli, che pur non avendo partecipato alla sparatoria conferma l’appartenenza all’organizzazione, ma anche la ferma decisione di uscirne. Lo fa senza fare nomi o dare altre informazioni. Pentito anche lui, ma senza un comma di legge che lo possa sancire, mentre la sua ammissione basta a tirarsi addosso tutte le aggravanti per associazionismo e banda armata, nonostante non abbia ucciso nessuno. Risultato: l’omicida Viscardi se la cava con 13 anni, mentre per Vitelli scatta l’ergastolo.Gli anni ’80 iniziano così, fra grandi operazioni che grazie ai pentiti portano a decapitare le due grandi organizzazioni eversive, Brigate Rosse e Prima linea, e una spirale d’odio e ritorsioni drammatica, con la legislazione premiale per i grandi collaboratori di giustizia che, accanto a grandi risultati, finisce anche per accreditare un clima da guerra civile, quasi non conti il recupero della persona, Costituzione alla mano, ma solo la contabilità del conflitto. Le prime grandi vittorie dello Stato a opera soprattutto delle iniziative "militari" del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa sono solo l’inizio, non la fine, di un processo di resa che durò quasi un decennio.Decennio poco investigato, forse perché l’aura da eroi invincibili che caratterizzò l’esplodere del fenomeno nella seconda metà degli anni ’70 è ormai svanita. Qui c’è da raccontare di drammi, cadute, vendette criminali, ferite insanabili e faticose risalite. Il libro La Guerra è finita. L’Italia e l’uscita dal terrorismo.1980-1987 di Monica Galfré, che esce oggi da Laterza (pagine 272, euro 22), è il saggio che mancava per provare a comprendere come è stato possibile aver ragione di un fenomeno arrivato a contare fino a un milione di simpatizzanti e fiancheggiatori, che non poteva essere vinto con la sola repressione.L’inizio del decennio della "dissociazione" è segnato dalla "resa" di Patrizio Peci al generale Dalla Chiesa che consente in cambio di sconti di pena e agevolazioni varie l’arresto di 85 brigatisti e un centinaio di militanti di Prima linea. La "caccia all’infame" raggiunge la sua acme col rapimento e l’uccisione del fratello Roberto Peci, vicenda di rara brutalità in una fase in cui le Br si macchiarono in carcere di una miriade di crudeli omicidi, strangolamenti o induzioni al suicidio: nel mirino sempre loro, i "traditori". I bracci della morte in cui furono segregati i terroristi insieme ai criminali comuni fecero nascere un fenomeno nuovo, quel "fronte delle carceri" ideato da Giovanni Senzani in grado di saldare forze del male che mai avrebbero pensato di parlarsi e che invece in casi come il sequestro dell’assessore campano Ciro Cirillo mostrarono di aver stretto un patto contro l’ordine costituito.La spirale sembra inarrestabile, fra rivolte in carcere, come a Trani, e brutali repressioni. Quando si affaccia un fenomeno nuovo, la disponibilità non solo individuale, ma di gruppo, alla dissociazione. Il libro di Galfré, pur rifuggendo dalla retorica delle tesi precostituite, una cosa la dice, fatti alla mano. Dove non potè arrivare la mano ferma della repressione e la logica ancora militare del "do ut des" offerto - o imposto - ai pentiti (con tanti documentati casi di violenza psicologica, ma anche fisica) poté la mite e non meno poderosa arma del dialogo da uomo a uomo, con uscite sorprendenti come il perdono di Giovanni Bachelet ai funerali del padre e con la Chiesa in prima linea attraverso le figure, in carcere, di cappellani come don Salvatore Bussu e - fuori - di padre David Maria Turoldo o del cardinale Carlo Maria Martini individuato da tanti terroristi come il terminale per una simbolica restituzione delle armi, che favorì non poco l’adozione in rapida sequenza, fra il 1986 e 1987, della legge Gozzini-Casini che apriva alle pene alternative e la nuova legge anti-terrorismo che finalmente riconobbe sconti anche per i dissociati.Il libro attinge a piene mani all’archivio di padre Ernesto Balducci. Bello lo scambio con Mario Gozzini sullo stesso fronte per la dissociazione eppure preoccupato di non umiliare le istituzioni. Che accusa Balducci, e non solo, di limitarsi alla condanna della brutalità del carcere, trascurando il sangue versato. La replica del padre scolopio all’amico senatore della Sinistra indipendente è dura: «Mi pare che tu non avverta fino in fondo lo scempio che le leggi speciali hanno fatto della Costituzione». Un lavoro che arrivò a compimento fra tante incognite. Il cardinal Martini su  Civiltà Cattolica ricordò la parabola del figliol prodigo: «Ma non abbiamo mai saputo se il secondo figlio ha accettato di rientrare al banchetto». Eugenio Scalfari su Repubblica dava voce invece alla linea della fermezza: «L’assoluzione la Chiesa la pratichi nei confessionali». Ma dalla celebre omelia di Paolo VI al funerale di Moro in poi è un fatto che essa svolse anche un’opera di supplenza offrendo, disse Balducci, un ruolo "più comprensivo" anche per lo Stato.
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