mercoledì 22 gennaio 2020
Chiamato alla Cattolica da Gustavo Bontadini, in seguito a pubblicazioni sempre più problematiche in merito alla fede cristiana, si avviò una controversia che lo portò a trasferirsi a Venezia
Il filosofo Emanuele Severino

Il filosofo Emanuele Severino - (archivio Ansa)

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Essere o divenire? L’elaborazione filosofica del metafisico, già allievo di Bontadini, riprendeva i presocratici. Si laureò su Heidegger, che si è scoperto recentemente leggeva il nostro autore Diffusa ieri la notiza della sua scomparsa, a Brescia il 17 gennaio: stava per compiere 91 anni.

Da alcuni considerato il maggiore filosofo italiano vivente, negli anni 60 entrò in conflitto con l’Università Cattolica, ma poi aveva dato una lettura più distaccata della vicenda. Seguendo gli antichi, mise al centro il principio di non-contraddizione, Emanuele Severino resterà eternamente un grandissimo filosofo, colui che forse solo assieme a Martin Heidegger ha tentato di riprendere il cammino del pensiero occidentale da capo, sin dai primi passi di Anassimandro e Parmenide, prima ancora che di Platone e Aristotele. Fra questi grandi già in eterno vive nella gioia, in una comunicazione divina, infinita.

Per Severino ogni ente, che sia cosa, pensiero, persona, in ciascun suo cosiddetto aspetto particolare o temporale, è eterno, è salvo per sempre nell’eternità. Non che egli neghi il divenire, la mutevolezza, la incessante diversità di ciò che appare, come banalmente si potrebbe ironizzare in merito al suo invece profondo pensiero.

Ciò che Severino nega, confuta, mostra contraddittorio, è affermare cioè credere che un medesimo ente divenga, anzi nasca o sia creato dal nulla e al nulla possa tornare risultando scomparso, morto, annichilito.

L’apparente divenire non è che la variegatezza degli enti nell’apparire di ciò che appare, nell’orizzonte trascendentale dell’apparire, nel cerchio dell’apparire, intramontabile, orizzonte nel quale soltanto ogni singolo apparire empirico accade, è, è pensabile e pensato.

L’orizzonte degli orizzonti è intrascendibile e intramontabile, tanto che lo stesso pensare al di là di esso in esso accade, sia follia o ideale razionale tale sublime pensiero.

Emanuele Severino nasce a Brescia il 26 febbraio 1929, dove frequenta le scuole del Collegio Cesare Arici, dei padri gesuiti. Il fratello Giuseppe, maggiore di otto anni, lo distrae dalla passione per il pianoforte e lo precede negli studi filosofici, approdando da Brescia alla Scuola Normale Superiore di Pisa, dove è allievo di Giovanni Gentile, Guido Calogero e Armando Carlini. Ma come “volontario” nel corpo degli Alpini viene mandato nel 1942 sul fronte bellico francese, ove viene ucciso.

In casa si discuteva quindi della filosofia di Gentile, come presto Emanuele Severino farà anche con il suo principale maestro, Gustavo Bontadini, incontrato all’Università di Pavia e con il quale si laureerà nel 1950 discutendo una tesi su Heidegger e la metafisica.

Trasferitosi all’Università Cattolica del Sacro Cuore a Milano, Bontadini si adopera per chiamarvi lo straordinario allievo, d’accordo con monsignor Francesco Olgiati, che nel 1954 lo invita a tenere lezione sulla sua cattedra.

Nei primi anni Sessanta, con il succedersi di pubblicazioni di Severino sempre più problematiche in merito alla fede cristiana, si avvia una controversia con le autorità accademiche ed ecclesiali, che sfocerà in un giudizio da parte della Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede, richiesto dal filosofo stesso, con il quale viene sancito il suo congedo dall’Università Cattolica.

Nel ripercorrere dopo quarant’anni la triste vicenda, documentandola, Severino giunge ad affermare che «il cristianesimo potrebbe avere un alleato e non un avversario – e anzi l’avversario – nel contenuto dei miei scritti» ( Il mio scontro con la Chiesa, Rizzoli 2001).

Nel 1970 Severino si trasferì alla neonata facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, portando con sé nella diaspora allievi del livello di Salvatore Natoli, Umberto Regina, Mario Ruggenini, Luigi Ruggiu, Luigi Vero Tarca, Italo Valent, Carmelo Vigna..., ai quali si aggiungeranno veneziani come Massimo Donà o Andrea Tagliapietra.

Divenuto professore emerito a Venezia, ritornerà ad insegnare a Milano, ma alla facoltà di Filosofia dell’Università Vita-Salute San Raffaele fondata da Massimo Cacciari nel 2002.

Severino è rimasto profondamente segnato nel suo lungo e fecondo cammino di pensiero, costellato da decine e decine di volumi pubblicati principalmente con le case editrici La Scuola, Adelphi e Rizzoli, dal rapporto con la fede cristiana.

Malgrado la serrata critica, che giunge ad affermare la contraddittorietà della fede nella sua stessa formulazione paolina di argumentum non apparentium (Ebrei 11,2), cioè per Severino dimostrazione di cose indimostrabili poiché non visibili e quindi dubbie, in fondo credo che il grande filosofo bresciano abbia tratto proprio dal cristianesimo, dall’evangelica fede nella salvezza per ogni cosa creata – persino «capelli del capo» e «passeri» di poco conto, «nemmeno uno di essi dimenticato davanti a Dio» (Luca 12,6) –, la principale fonte ispirativa del suo anelito filosofico, volto a ricercare l’eternità di ciascun essente.

Piuttosto un altrettanto pervicace rigore nell’attenersi al principio primo di ogni ragionare filosofico, quello di non-contraddizione, l’ha sempre costretto a rilevare e sviscerare, con un’acutezza di pensiero e una stringenza argomentativa unica nel panorama non solo contemporaneo, la quale non ha mai voluto accettare l’intrinseca simbolicità e quindi contraddittorietà di ogni linguaggio, appunto le contraddizioni insite in gran parte dei ragionamenti filosofici e teologici formulati nel corso del pensiero occidentale.

Senza contare la lucidità estrema e la profondità di visione con cui Severino ha saputo esaminare e commentare – soprattutto dalle pagine del “Corriere della Sera” – le vicende della politica contemporanea globale e della civiltà tecnocratica, notandone la volontà di potenza nichilistica sottesa: dalla violenza terroristica al totalitarismo amministrativo-burocratico, dalle contraddizioni della bioetica all’ipocrisia di ogni ideologia, capitalista o socialista o islamista che sia.

Ora che apprendiamo a funerali avvenuti della sua scomparsa, a Brescia il 17 gennaio, per lui certo infinitamente meno dolorosa che quella della dilettissima moglie Esterina nel 2009, a lui accanto una vita anche per diversi riguardi dei suoi continui studi, pensiamo, assieme al filosofo, che «nessuno toglierà via da voi la vostra gioia» (Giovanni, 16,22).

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