giovedì 10 ottobre 2019
L’illusione della smaterializzazione è un sintomo mortale, l'evidenza di una progressiva sconfitta del senso del cammino che è vita
Realtà virtuale (Eddie Kopp/Unsplash)

Realtà virtuale (Eddie Kopp/Unsplash)

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Nello sviluppo delle tecnologie vi è un processo inevitabile di cui credo sia necessario avere piena coscienza. L’esempio perfetto viene dalla possibilità abbastanza recente di un corpo umano perfettamente riprodotto in 3D in grado di sostituire i corpi in carne e ossa per lo studio dell’anatomia umana, disponibile su un tavolo operatorio di dissezione virtuale. Realtà già attiva in Italia in alcuni distretti ospedalieri e scientifici avanzati, rappresenta solo l’inizio di cosa può significare la virtualizzazione e le sue possibili applicazioni.

Poter effettuare indagini ed esperienze senza avere a che fare con gli effetti più sgradevoli di tutto ciò che ci tiene in vita è certamente un grande passo avanti. Per qualche motivo la tecnologia sembra avallare e incoraggiare la tendenza comune a tutta la società moderna. Sanitizzare e rendere asettico tutto ciò con cui abbiamo a che fare, dai comportamenti, con l’avvento della relazione digitale, agli edifici, tutti sempre più simili a cattedrali purificate da ogni elemento che ricordi lontanamente l’uomo.

Un passaggio simile è quello delle armi. Dalla lotta diretta e il confronto fisico, con mazze, spade, lance, alla possibilità di polverizzare insediamenti e vite umane con l’utilizzo dei droni. Dall’esperienza diretta degli effetti della violenza esercitata alla distanza rarefatta di un sangue remoto, senza odore né colore e quindi in apparenza privo di umanità.

La contemporaneità è tale da promuovere un mestiere abbastanza infame come quello del cecchino a una dimensione epica da templare, dal momento che ha creato la possibilità di essere cecchini a migliaia di chilometri di distanza, pilotando strumenti di distruzione come i droni da un ambiente con tutti i comfort, aria condizionata e sedie confortevoli dove magari tra un cubalibre e un manhattan si annientano vite umane e compounds che per l’operatore di turno non sono altro se non "pixel" in "ultrahd" su uno schermo militare.

Non voglio essere in alcun modo catalogato tra i tanti che elaborano prefiche e invettive furiose e scandalizzate quanto ipocrite in nome di fedi o credi vari guidati unicamente dal senso di inadeguatezza. Qualcuno potrebbe obiettare che la realtà è ormai dimostrato essere questione di dimensione, che le immaginette di gente che cammina, svolge la sua vita quotidiana, con tutte le sue complesse mediocrità è meno realtà di un video realtime ad alta definizione.

Proprio qui come si è detto per altre questioni, l’umanità si divide in due. Qui si apre un varco insanabile tra chi annulla la dignità umana in nome di allucinazioni ideologiche e chi rispetta la carne come regalo ineguagliabile della provvidenza. Sembra essere una divergenza irrisolvibile quella tra tecnologia e esistenza corporale. Eppure la cronaca e la vita di tutti i giorni ci parlano inequivocabilmente di quanto siamo destinati al legame col nostro sangue, i nostri ormoni, i nostri corpi. La realtà è che qualunque sia la tecnologia di cui saremo dotati, il nostro rapporto col corpo è ineludibile.

La tecnologia stessa nasce dal fatto che siamo corpo. Non può trasformarsi in uno strumento che lo nega perché sarebbe una negazione ontologica, impossibile. Allora? Il fatto è che tendiamo a semplificare e ad abituarci a idee precostituite a cui amiamo adeguarci. La perdita di corporeità è come un veleno dal sapore dolce. Dal momento che la corporeità comporta una serie di effetti collaterali non sempre "presentabili" tendiamo a immaginare una vita senza corporeità, e la cosa spesso peggiora con la vecchiaia.

Ma cercare la smaterializzazione è un segno di senilità e quello che è peggio è una senilità dello spirito. È la perdita di un istinto alla lotta che deve essere mantenuto perché la lotta dell’esistenza è lo stesso districarsi della vita. L’illusione della smaterializzazione è un sintomo mortale, di una progressiva sconfitta del senso del cammino, che è vita. Deve essere chiaro. La lotta per la smaterializzazione è già la sconfitta di chi la conduce. Ciò che è presentato come sublimazione è solo la dichiarazione della propria velleità di controllo. Avere un corpo virtuale a disposizione può essere di grande utilità, ma non potrà mai portare allo stadio in cui sostituisce quello reale. Gestire il corpo a distanza richiede una coscienza profonda del fatto che quella distanza è un diaframma inesistente e la vita che tocchiamo attraversandolo verrà inevitabilmente a chiederci il conto.

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