martedì 14 giugno 2022
Abraham Yehoshua, scrittore israeliano di fama internazionale, è morto questa mattina. Lo ha annunciato l'ospedale Ichilov di Tel Aviv. I funerali si svolgeranno nel pomeriggio. Aveva 85 anni
Abraham Yehoshua

Abraham Yehoshua - Ansa

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Nato a Gerusalemme nel ’36, il giovane Abraham Yehoshua passa la metà degli anni Sessanta a Parigi, dove diviene un punto di riferimento per gli studenti ebrei all’estero. Sin dal ’72 riceve l’incarico di professore di Letteratura comparata ad Haifa, e ha l’opportunità di insegnare a Oxford come Writer in residence, ad Harvard e Princeton in qualità di Visiting Professor. Pubblica inizialmente racconti e pièces teatrali – Una notte di maggio risale al ’75 –, ma il suo primo romanzo, L’amante (tradotto in Italia da Arno Baehr per Einaudi), è tuttora il più noto: edito nel ’77, narra la vicenda di Adam che partecipa al malinconico sogno di sua moglie Asya d’inseguire l’enigmatico amante Gabriel, transitato nella loro famiglia a seguito della guerra del Kippur. Dietro allo sbrecciato susseguirsi di voci diverse – tra cui la figlia Dafi e l’arabo Na’im – secondo un andamento monologante, si celano altissimi significati teologici: l’allegoresi biblica ci consente di pensare alla figura di Gabriel come al Deus absconditus con il quale il popolo israeliano deve faticosamente riunirsi. Dal punto di vista diegetico è interessante il continuo rimbalzo prospettico: è ben visibile l’impulso polifonico à la Bachtin, ma emerge ancor di più la volontà «transgrediente» di uscire dal proprio steccato concettuale per fare irruzione nel pensiero dell’alterità. Alterità trattata come soggetto vivo e pulsante, non oggettualizzata, non ricondotta agli aridi schemi o alle pallide ombre che farebbero inferocire (giustamente) gli studiosi del postcolonialismo. La realtà palestinese è infatti descritta con dovizia di particolari, in uno sforzo di sympatheia e comprensione politico-sociale che è forse l’eredità più importante della scrittura di Yehoshua, convinto sostenitore – con Amos Oz e David Grossman – di una soluzione di pace tra israeliani e palestinesi. Memorabili le righe finali dell’Amante, affidate all’esplosione di gioia di Na’im, innamorato di Dafi: «Mi getto per terra ai tuoi piedi [...]. Dio mio, davanti a te mi trascino nella polvere. Davvero è stato bellissimo e fantastico Dafi Dafi Dafi. Adesso tornare al paese e dire a papà: – Eccomi. Dire buongiorno agli asini. Non m’importa. Anche se non me la lasceranno vedere, la ricorderò per mille anni, non la dimenticherò. Ho già nostalgia, sono rimasto scottato ben bene. [...] Si può anche amarli, e si può anche farli soffrire. [Adam] è proprio incastrato, non riuscirà a tirarsi fuori da solo. Ma io non torno lì ad aiutarlo, ho paura che mi salti addosso. Meglio che vada a svegliare Hamid. La gente si domanderà: che cosa è successo a Na’im, che d’improvviso è così pieno di belle speranze».

L’allotopia della pace prosegue in Il signor Mani (1990; traduzione di Gaio Sciloni, Einaudi), quarto romanzo di Yehoshua dopo Un divorzio tardivo (1982) e Cinque stagioni (1987). Si tratta di un testo, lodatissimo dalla critica, in cinque dialoghi che ripercorre la saga di una remota famiglia ebraica, dal patriarca Abraham al giovane soldato Efraim. Di nuovo campeggia il tema dell’identità – esaminato ulteriormente in un saggio del 2009, Il labirinto dell’identità – avvolto dall’eterno ritorno genealogico e dalle sue trappole. Qui lo scrittore gerosolimitano sembra sfiorare l’ereditarietà del peccato originale, mantenendo però intatta la vocazione razionalistica. Nei titoli notevoli della sua esperienza letteraria figurano La sposa liberata (2001), Il responsabile delle risorse umane (2004), Fuoco amico (2007) e Il tunnel (2018). Il New York Times lo ha paragonato a Faulkner e, in effetti, la certosina precisione di alcuni dettagli tecnici (si pensi al ritratto dell’officina di Adam nell’Amante) è di un’ineguagliabile capacità mimetica. Giunto alle porte del mistero che alternativamente lo respingeva e attraeva, pago di una vita serena e soddisfacente, chissà se Bulli – estremo «difensore della famiglia» – avrà risposto con la stessa ferrea dolcezza di sempre a una chiamata, questa volta, più grande.

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