venerdì 8 settembre 2023
L'ascesa rapida e la sparizione dell'ex golden boy del Bologna anni '80, riletta nella sua biografia (Minerva). Il suo ex compagno Roberto Mancini lo considera "il più forte talento mai incontrato"
La copertina di "Era il più forte di tutti", biografia di Marco Macina (nella foto concessa da Minerva Edizioni)

La copertina di "Era il più forte di tutti", biografia di Marco Macina (nella foto concessa da Minerva Edizioni)

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Sostiene Monduzzi, e non il Pereira di Antonio Tabucchi, ma lo scrittore bolognese Gianni Monduzzi che «fa più strada un cretino ben motivato di un genio svogliato». Questa storia di cuoio che andiamo a raccontare è essenzialmente ambientata in una Bologna dalle atmosfere rarefatte, come quelle dell’unico film credibile sul calcio: Ultimo minuto di Pupi Avati, scritto dal regista bolognese con la complicità di mastro Italo Cucci. Una storia che parla appunto di un genio incompreso del nostro calcio, che non era svogliato, ma data la rapidità d’azione in campo, forse ha giocato troppo d’anticipo sui tempi. È la storia dell’avvistamento, l’ascesa e la sparizione lampo di Marco Macina.

Chi del Bologna si intende, non lo ha mai dimenticato

«Chi del Bologna si intende», canta in Baggio Baggio Lucio Dalla, beh allora ricorderà quella formazione rossoblù dell’infausta stagione 1981-82, quella che per la prima volta vide la gloriosa società felsinea retrocedere in Serie B. Bontà sprecata di una rosa guidata della “Roccia di Ruda” Tarcisio Burgnich - a cui subentrò Francesco Liguori con un attacco che disponeva di cinque esponenti della categoria “irregolari” da fare invidia ai grandi club: Stefano Chiodi, Giuliano Fiorini e poi i tre mister fantasy come Alviero Chiorri e i “gemelli” del settore giovanile, i due classe 1964 Roberto Mancini e appunto, Marco Macina. L’allora sbandierata “M2” di un Bologna che provò a tenersi stretti quei due gioielli, ma la retrocessione impose il sacrificio di Mancini che, con l’altro gemello arrivato da Cremona a illuminare la Lanterna, Gianluca Vialli, andò a fare le fortune della Sampdoria del presidente Mantovani. Del Mancio ex ct della Nazionale campione d’Europa e ora sceicco- selezionatore dell’Arabia Saudita, tutti sanno tutto, ma di Marco Macina, lo “straniero” nato sotto il Monte Tita,no nella Repubblica di San Marino, la storia è nota solamente alle memorie di cuoio ben allenate e ai cuori caldi dei tifosi bolognesi, oltre agli amanti del bel calcio di poesia, che non l’hanno mai dimenticato. E a rinforzare l’area dei ricordi c’ha pensato un giornalista e difensore estremo della carta stampata, Matteo Sèlleri, bolognese di Molinella, che dopo una serie di incontri con Macina, all’Insolito posto di Serravalle, ha scritto Era il più forte di tutti (Minerva. Pagine 215. Euro 18.00). “La biografia ufficiale”, certifica la copertina, che, dando voce al vero protagonista di questa storia affascinante e romantica, spazza via come un pallone in tribuna, l’infinità di leggende metropolitane (leggasi “fake”, specie quelle a sua pseudofirma) sorte attorno a un talento puro degli anni ‘80.

Il talento riconosce il genio all'istante. Marco genio incompreso

Ma in un tempo senza memoria, per scovare anche quelle tracce di talento bisognerebbe affidarsi a Sherlock Holmes e al suo papà Arthur Conan Doyle che ci ricorda: « La mediocrità non conosce nulla di più alto di sé, ma il talento riconosce il genio all'istante». Quando arriva alla base rossoblù di Casteldebole, dopo un mancato provino all’Inter (così come il Mancio per una pura casualità non passò al Milan) a 13 anni, il talento Macina, nato e cresciuto nel campetto sanmarinese del Tre Penne, possiede già le stimmate del genio. Un passo diverso, imprendibile quando accelera sulla fascia e una tecnica che spiazza tutti, persino i suoi allenatori. « Macina era più forte di me e di Mancini messi assieme», mi confessò in un baretto di Torrimpietra quell’altro genio ribelle di Alviero Chiorri, classe 1959, che a Bologna e poi alla Samp incrociò il destino di Mancini. E lo stesso Mancio conferma, da sempre, il giudizio di Chiorri, aggiungendo: « Macina era il più forte al mondo tra gli Under 15, poteva essere Messi, non ho mai più visto uno con il suo talento». Mancini debutta in Serie A a 16 anni, il 13 settembre 1981, prima di campionato Bologna-Cagliari 1-1. Macina lo segue il 22 novembre: al 69’ subentra a Chiodi in Juventus-Bologna 2-0. Prima di leggere la sua autobiografia, qualche tempo fa avevo rintracciato Macina nell’ufficio del turismo di San Marino, dove attualmente lavora, e quando gli chiesi che sensazione avesse provato quel giorno al Comunale di Torino contro la Juve di Platini e del suo “connazionale”, il sanmarinese Massimo Bonini, l’ex golden boy del Bologna rispose al volo: « La più grande emozione della mia vita. Bellissimo fu anche ritrovarmi come avversario Bonini. Io e Massimo siamo gli unici due sanmarinesi che hanno giocato in Serie A... Quello di arrivare alla massima serie allora mi sembrava un percorso scontato. Non lo dico con presunzione, ma il calcio era la cosa che mi riusciva più facile». Facile, come indossare la maglia azzurra dell'Under 16 e strabiliare tutti. Al Torneo di Montecarlo venne eletto miglior giocatore Under 19. Attenzione, non stiamo parlando soltanto di uno dei migliori talenti italiani di inizio anni ‘80, all’epoca Macina era nella lista dei più forti giovani a livello mondiale. « Marco era un incompreso nel calcio italiano. Si sentiva invece compreso fino in fondo quando si confrontava nei tornei internazionali dove non solo era sempre decisivo per la squadra, ma risultava sempre anche il miglior calciatore della competizione» sottolinea il suo biografo Sèlleri.

Ha rifiutato l'Under 21 per giocare con la sua nazionale, San Marino

È risaputo che l’Italia di Enzo Bearzot aveva scartato Mancini dalla lista dei convocati per il Mundial dell’82, perché ritenuto troppo giovane (poi portò in Spagna il 18enne Beppe Bergomi), ma in molti avevano segnalato al Vecio quel ragazzo di San Marino che rifiutò l’Under 21. «Sarebbe stata un'occasione importante giocare nell'Under 21, ma non potevo rinunciare al passaporto – spiegò Macina - . Poi quando nacque la nostra nazionale di San Marino ero obbligato a giocare solo per quella maglia ». Obbligato dal destino ad accettare anche di giocare in squadre non attrezzate per esaltare il suo genio e sregolatezza. Macina ha avuto la sfortuna di far parte del Bologna meno competitivo della sua storia secolare: nei due anni in cui militò in prima squadra precipitò dalla A alla C1. Passato al Parma, quella non era ancora la società che avrebbe fatto parte del club elitario delle “sette sorelle”, la squadra di campioni che poi negli anni ‘90 avrebbero costruito i munifici Tanzi.

La grande chance al Milan. Liedholm stravedeva per Macina

Ma nel Parma Macina continuò a sfoggiare colpi magistrali che gli permisero di giocarsi la grande chance nel Milan di Nils Liedholm, stagione 1985-‘86. « Arrivai con un anno di ritardo – mi spiegò -. Dovevo andare la stagione precedente quando mi volevano già per sostituire Mark Hateley che si era infortunano. Avevano solo Incocciati e andando a gennaio avrei potuto giocare titolare, ma il Parma mi liberò solo in estate e quando arrivai il Milan aveva cinque attaccanti». Quando finalmente si presenta a Milanello il “Barone” Liedholm stravedeva per quel ragazzino della scapigliatura emiliana, come anche il presidente Giussy Farina che però quell’anno subì “l’esproprio” da parte del nuovo patron Silvio Berlusconi. Macina per un posto da titolare, in un calcio ancora dallo scarso turnover, doveva competere con colleghi del calibro di Pablito Rossi, Mark Hateley e Pietro Paolo Virdis e a fine stagione venne spedito in prestito alla Reggiana. Un talento planetario, per vox populi, arrivato all’apice e subito costretto a ripartire dal basso, dalla serie C.

Nato prima della legge Bosman, addio al calcio a 24 anni

Gli infortuni, i problemi economici e i fallimenti dei club in cui ha militato (una serie da record) e le incomprensioni con chi non riuscì a tutelare adeguatamente quel patrimonio tecnico di cui disponeva, hanno fatto di Macina un ex calciatore ad appena 24 anni. Ultima beffa: nascere nell’era “pre-Bosman”. La legge Bosman che regolamenta i trasferimenti dei calciatori è del 1995 e Macina, ostaggio delle società, allora padrone esclusive del cartellino, aveva già smesso da tempo. Dal 1988, anno del suo addio al calcio, le cose sono cambiate, ma i loschi figuri che rovinano il gioco (dai dirigenti senza scrupoli ai procuratori squali, fino alle tifoserie violente, come quella allora di Lucca che lo prese di mira) quelli ci sono sempre. Anzi, sono aumentati in maniera esponenziale e ormai dominano la scena. A Macina è mancata una guida che lo aiutasse a maturare e arrivare - senza quello strappo alla sua adolescenza - emotivamente preparato al professionismo. Restano scampoli di gloria, e quelle orme indelebili di genialità di chi, come scrive il suo ex compagno del Bologna Franco Colomba in prefazione a Ero il più forte di tutti, «ha vissuto e interpretato il calcio fuori dagli schemi, come riservato agli artisti». © RIPRODUZIONE RISERVATA In alto: Marco Macina, classe 1964, con l’Under 16 in una gara contro la Turchia. Sotto con la maglia del Bologna e del Milan nei primi anni ‘80, foto di copertina della biografia “Ero il più forte di tutti” (Minerva)

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