venerdì 23 novembre 2018
Nel centro umbro, meta turistica e luogo di culto per il santuario della Madonna delle Grazie, negli anni Trenta operò don Pietro Corradi, un prete con il pallino per l'arte
Il leone di Rasiglia scolpito da don Pietro Corradi negli Anni 30

Il leone di Rasiglia scolpito da don Pietro Corradi negli Anni 30

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Al centro dell’Umbria si trova un paese che negli ultimi anni è diventato tappa fissa del turismo del cuore verde d’Italia. Rasiglia, in mezzo alle montagne sopra Foligno, è un piccolo borgo che con i suoi ruscelli e corsi d’acqua si è guadagnato nel giro di pochi anni la nomea di “Venezia del Centro Italia”. Completamente restaurato dopo il terremoto umbro-marchigiano del 1997, nasce sull’acqua di tre sorgenti freschissime che si alternano e si alimentano, fino a formare un piccolo laghetto che accarezza i muri delle case. In questi ultimi mesi i pochi abitanti del borgo hanno chiamato “miracolo Rasiglia” il fenomeno che accade ogni fine settimana: da poche decine di persone, che transitano per il paese, si passa subito a migliaia di turisti italiani e stranieri entusiasti dei vicoli del piccolo villaggio. Rasiglia è anche luogo di culto e preghiera con il santuario della Madonna delle Grazie vero e proprio punto focale di tutta l’area montana. Il territorio dove sorge il Santuario ha tutte le caratteristiche di un luogo associato al mito della grotta e ovviamente dell’acqua che accompagnano i devoti alla purificazione, forse in ricordo di un preesistente luogo di culto precristiano.

Negli anni trenta un sacerdote di nome Pietro Corradi, parroco del santuario, volle impreziosire quella chiesa con delle proprie opere. Il “prete-scultore” in vari anni realizzò un piccolo rosone in travertino sopra una porta ad arco, le stele sopra le colonnine che si trovano fuori il porticato della chiesa, altre piccole sculture raffiguranti animali e una piccola Madonnina conservata all’interno. Don Pietro Corradi fu noto anche per moltissimi progetti che commissionò ad altri scalpellini della zona, un vero e proprio artista a 360° che spaziava dalla realizzazione nuda e cruda delle opere, fino alla progettazione e al disegno. Ma il parroco nei suoi anni di sacerdozio realizzò anche un’ulteriore scultura, a protezione di tutto il santuario, in pietra sponga, raffigurante un grande leone della grandezza di due metri, accucciato con un’aquila appena sopra. L’aquila durante gli anni fu distrutta e il leone inglobato dalla vegetazione e natura. Quel leone ormai nel dimenticatoio, grazie alla lungimiranza di un volontario devoto al santuario, è stato riportato alla luce più splendente che mai. “Sono ormai più di cinque anni – racconta Gelsomino Biancalana, operaio della Comunità montana - che volontariamente mi dedico alla pulizia del santuario. Iniziai con il bosco sottostante e il parco vicino la chiesa. Quando cominciai a dedicarmi alla parte che si affacciava sul campo, mi sono dovuto imbragare addirittura con una corda alla balaustra della chiesa. C’era uno spessore di rovi e spine quasi di un metro – prosegue nel racconto - ma più tagliavo e rovistavo e più il viso del leone usciva fuori: a fine lavoro vedere quel simbolo che mi veniva raccontato dai miei nonni ancora splendente è stata un’emozione unica. Inoltre proprio vicino il volto del leone ho scoperto anche una piccola grotta e cavità nella roccia, probabilmente il luogo ideale per inserire una statua sacra”.

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