mercoledì 8 gennaio 2014
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Giuseppe Gibilisco è l’ultimo italiano campione del mondo di atletica leggera, nel 2003, a Parigi. Poi, per l’Italia solo due ori olimpici: Stefano Baldini, alla maratona di Atene 2004, e Alex Schwazer, a Pechino 2008, il marciatore che ora è squalificato per doping. Nella rassegna iridata di Mosca 2013 l’unico podio è stato di Valeria Straneo, seconda nella maratona.Gibilisco, l’atletica italiana vive nel ricordo della sua impresa di dieci anni fa?«Forse. Ma per me non è un bel ricordo. Potessi tornare indietro, abbatterei quell’asticella. È stata una catastrofe. Hanno cominciato a indagare lasciandomi senza parole...».È stato anche bronzo olimpico ad Atene, rinnega i maggiori successi?«Sul momento i podi erano appaganti, rappresentare l’Italia dà sempre soddisfazione, ma forse sarebbe stato meglio non conquistarli perché se nel nostro Paese ti distingui c’è sempre qualcuno che ti butta giù, in modo tale che nessuno sfiguri».Sembra di sentire Sara Simeoni, regina dell’atletica da tempo emarginata dalla federazione...«È come se i dirigenti avessero piacere di riportare tutti gli atleti allo stesso livello, anziché veder trionfare qualcuno scomodo».La sua odissea iniziò nel 2004, con l’inchiesta “Oil for drugs”...«All’alba vennero a perquisirmi casa, senza trovare niente». Ma perché si faceva visitare dal dottor Santuccione?«Faceva parte dei medici sportivi. Allora dovremmo chiederci perché l’avessero abilitato. In Abruzzo andavamo in tanti. Neanche sapevo che fosse discusso, venne squalificato a vita solo nel 2007».Il faldone penale per tentato uso di sostanze dopanti fu archiviato, ma nel 2007 la procura federale propose due anni di stop.«In primo grado la giudicante accolse la proposta di squalifica, in appello venni assolto. E in terza istanza il tribunale del Coni mi condannò, ma il Tnas di Losanna, il 9 maggio 2008, pronunciò l’assoluzione completa: non esiste la prova che abbia anche solo tentato di doparmi, mancavano le basi per condannarmi».All’epoca come reagì?«Per due mesi fui disorientato: non avevo combinato nulla e non potevo dimostrarlo. Gli inquirenti non credevano alle mie parole, temevo di impazzire. L’asta sembrava sfuggirmi di mano, ma alla fine sono stato assolto». Perché tanto accanimento, allora?«Alla prima udienza risposi male al procuratore Ettore Torri: “Scusi, mi vuole prendere per in giro? Ho già parlato per 7 ore ai Nas a Firenze, è inutile ripetere le stesse cose, avete le mie dichiarazioni”. Torri si impuntò e così mi hanno interrotto la carriera negli anni migliori: una stagione l’ho persa completamente».Le avevano mai offerto il doping?«Neanche si sono avvicinati. Non è mai stato nelle mie intenzioni».Di Schwazer aveva intuito qualcosa? È stato squalificato per 3 anni e mezzo.«Non lo conosco bene, l’ho incontrato solo in nazionale. Mi sembrava un bravo ragazzo, rispettoso: vai a capire perché l’abbia fatto».Lei ha appena compiuto 35 anni: per riscattare la delusione dei Mondiali di Mosca quest’anno ci sono il Mondiale indoor a marzo e gli Europei in agosto...«Pensavo di smettere con la scorsa stagione, invece proseguo volentieri perché pochi mesi fa ho saltato anche 5,70».Il suo personale è di 5,90, stabilito proprio a Parigi.«Due anni dopo, ai Mondiali di Berlino, spelacchiai i 5,93 e alcune volte provai persino i 6 metri. Ora neanche guardo più il ranking, gareggio per divertimento, ma con professionalità. Da 20 anni mi alleno da solo a Formia, al centro di preparazione olimpica: nel dopo carriera mi piacerebbe gestirlo, spero che la Federazione mi offra questa possibilità».L’atletica italiana è in ripresa?«Il presidente Alfio Giomi si è accollato un incarico difficile, sta facendo bene, rinnova dopo gestioni deleterie. Solo chi ha gareggiato capisce i sacrifici di quanti si allenano tutti i giorni per 6-7 ore. Il nostro sport non deve essere consegnato a gente che l’ha praticato per passatempo, va messo nelle mani di chi è rimasto in pista per una vita».Come l’ex maratoneta Massimo Magnani, ct da un anno?«Non c’è paragone con il predecessore: capisce di atletica e sta facendo tanto. Ha grande voglia: è la persona giusta, positiva. Serve gente giovane. Aspettiamo Rio de Janeiro 2016 per vedere risultati concreti».È già il quadriennio dell’altista Alessia Trost?«Deve fare esperienza, acquisire sangue freddo nelle gare più importanti, il settimo posto di Mosca è un punto di partenza. Ai Mondiali di Pechino 2015 può fare l’exploit, sicuramente diventerà l’atleta di punta per i Giochi in Brasile. Il triplista Daniele Greco era già da oro quest’anno, purtroppo si è fatto male nel riscaldamento delle qualificazioni. E Fabrizio Donato viene da una stagione di infortuni: in quanto veterano, assieme al pesista Nicola Vizzoni è il miglior amico di nazionale».Come ha vissuto la scomparsa di Pietro Mennea?«Anche a 60 anni il suo sguardo emanava energia, chissà quanta ne aveva da giovane. Dagli occhi si vedeva la furia che aveva in corpo. Peccato non fosse stato reclutato come dirigente o uomo immagine, ai funerali è stato omaggiato dagli stessi che lo biasimavano. Almeno l’hanno ammesso alla Hall of fame dell’atletica...».Anche Yelena Isinbayeva a 31 anni resiste e non si ritira...«È stata la prima donna sopra i 5 metri, eppure non mi ha fatto mai impazzire. Il gesto atletico dell’asta femminile non è bellissimo e non è questione di maschilismo. Onore al merito, ha vinto 2 Olimpiadi e 3 Mondiali, però non mi ha mai emozionato».Lei come iniziò?«Per caso. Al campo scuola Pippo Di Natale, a Siracusa, avevo a 13 anni e facevo salto in lungo. Quella mattina c’ero il mio unico, vero allenatore, Silvio Lentini: un confidente e padre, tutto ciò che un atleta desidera. Ero seduto sul muretto, dall’altra parte del campo e Lentini mi chiese: “Che fai? Vuoi provare?”. Ritornai tutti i pomeriggi, per conquistare i primi titoli regionali. Stare in aria dà questa sensazione di vuoto e volo: mi divertivo saltando».Chi l’accompagna, alle gare?«Faccio tutto da solo e non ho più sponsor: l’unico, la Nike, è sparito ai tempi della squalifica. E solo nel 2010 sono rientrato nella Guardia di Finanza».Non le converrebbe essere più accondiscendente?«La diplomazia porta a poco, la gente deve capire, sapere».
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