venerdì 2 febbraio 2024
In "Qualcosa per il dolore" lo scrittore australiano, più volte candidato al Nobel, muove dalla passione per il mondo delle corse e dei cavalli per dare vita a un libro di umanità, fede e spiritualità
Corse sulla neve a Saint Moritz

Corse sulla neve a Saint Moritz - Pietro Mattia / Unsplash

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Negli ultimi toto Nobel spesso è stato inserito tra i favoriti. È australiano, insegnante, editore, docente universitario. A colpire di più nella sua biografia, però, è un particolare minore: non ha mai lasciato l’Australia in tutta la sua vita. Questo dettaglio dà la misura di Gerald Murnane uomo e scrittore, due facce di un unico modo di osservare la vita, che assumono ora forma in un memoir sui generis, distante da un’idea di autobiografia più tradizionale. Si tratta di Qualcosa per il dolore. Memorie dal mondo dell’ippica (Safarà Editore, pagine 270, euro 19, traduzione di Roberto Serrai). Perché è un libro diverso da altri? Perché anche qui, come in Le pianure, primo suo libro arrivato in Italia (Safarà), la scrittura si nasconde alla luce per dare sostanza al sotterraneo. Senza muoversi da un punto di osservazione, Murnane in persona immagina, riflette, fa progredire il racconto e parla di qualcosa per parlare d’altro, con ironia, poesia, commozione, in ventisette racconti disordinati cronologicamente, che ricostruiscono la sua vita – la famiglia, la relazione con la moglie, con i figli, i pochi amici, il rapporto con la spiritualità –, attraverso la lente d’ingrandimento di un’ossessione: quella per le corse dei cavalli, reali e immaginarie, mischiate come si mischiano i ricordi quando vengono raccontati e assumono contorni di leggenda.

Da ragazzo Murnane rimase affascinato dal mondo delle corse: non era mai andato a cavallo, né aveva visto una corsa, eppure era irresistibilmente attratto dalle foto che ammirava sul giornale e dai commentatori nel nominare i cavalli in gara durante le trasmissioni radiofoniche. Aveva scoperto, infatti, in queste corse, una porta verso un mondo di immaginazione e strade che da esso potevano scaturire. Qualcosa per il dolore è il nome di un cavallo da corsa immaginario, ma è soprattutto anche una grande lezione di scrittura, sull’accuratezza delle parole e sulla non necessità di essere saliti a cavallo per poterne parlare: Murnane dichiara a inizio libro che non ha «mai imparato a ballare», che non è «mai stato il tipo da appendere quadri, poster o cartoline», e che le macchine e la tecnologia lo hanno «sempre intimorito». Dopo una serie di “no” e “non so fare”, poi, spiega cosa sta e non sta facendo: «Non sto scrivendo un libro di Storia, ma una raccolta di ricordi, fatta di impressioni e sogni a occhi aperti».

Le corse dei cavalli tuttavia rappresentano per lui molto altro: «Una specie di vocazione più alta, che ci esentava dal doverci occupare delle cose terrene», e al tempo stesso se ne occupava, come un esame di sociologia visto da dentro, immerso nella sostanza stessa d’esame, nell’«interesse per le persone tra il pubblico» degli ippodromi, nella curiosità per ciò che sente e vede, ma non odora: «Sospetto che il mio interesse per i colori sia collegato al mio essere privo dell’olfatto. Quando sento parlare o leggo di certi odori, nella mia mente vedo dei colori. L’odore di una rosa rossa è rosso; quello del gas è̀ celeste. Per me, ogni colore o combinazione di colori afferma qualcosa. Da quando ho memoria ho sempre creduto che i colori stessero cercando di dirmi qualcosa».

Qualcosa per il dolore è un libro umano e pieno di umanità, che parla anche di fede e spiritualità, di un nome dovuto a un cavallo da corsa e di tanti ricordi: «Spesso vorrei avergli chiesto di più», scrive Murnane ripensando al padre. Ma oltre ai familiari ci sono anche Emily Jane Brontë e Marcel Proust, nonostante Qualcosa per il dolore sia principalmente un libro che procede per sottrazione di intelletto, alla ricerca di una purezza più esperienziale, passionale, di pancia, una riflessione sul mondo senza ricorrere necessariamente alla filosofia più alta, ma anzi rivolgendosi a quella, più diretta, dell’animo umano. «L’ippica – scrive Murnane – mi fornisce un sistema di valori e uno stile di vita», anche se, come in uno dei suoi sogni ricorrenti sulle corse, dice salendo in sella a una metafora: «Rimango per lo più all’oscuro di quello che più vorrei sapere».

Murnane si fa infatti domande sulla traiettoria delle vite, racconta quanto potenti possano essere le storie e quanto remoti i luoghi dell’immaginazione, così come i «dettagli di un universo alternativo», poi cita a tal proposito Paul Éluard: «C’è un altro mondo, ma è in questo». Confida infine di avere tre archivi: uno cronologico, pieno di lettere, diari, scritti autobiografici e memorabilia, uno letterario, per ciascuno dei libri scritti, e infine uno schedario di cavalli e gare, per la costruzione di quello che chiama Archivio agli Antipodi, che però dimostra come possano convergere in un’unica voce pronta a «gridare con enfasi piena di significato un nome come Qualcosa per il dolore». A dimostrazione, se non fosse chiaro, di come si possa eventualmente lasciare un luogo, volendo anche senza muoversi.

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