mercoledì 28 novembre 2018
In un’epoca dominata da iper-liberalismo e fatale dissoluzione dei legami sociali, la tesi del teologo domenicano
Salvioli: «La Chiesa, modello contro l'individualismo»
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L’iperindividualismo contemporaneo è un problema oggi non aggirabile. Così come la dissoluzione del legame sociale in atto. Dinanzi a essi la teologia non può ritrarsi. Né affrontarli in termini meramente morali. Per la Chiesa costituiscono una questione a cui non può evitare di dare una risposta provando a proporre una soluzione alla crisi del legame sociale. Coraggiosamente se ne fa carico Marco Salvioli, presbitero dell’Ordine dei Predicatori, affrontandolo con radicalità in La Chiesa generatrice di legami. Una risposta ecclesiologica ai limiti dell’individualismo liberale, in dialogo con Stanley Hauerwas, John Milbank e William T. Cavanaugh da poco pubblicato da Vita e Pensiero (pagine 608, euro 38). Il teologo domenicano, docente di Antropologia filosofica allo Studio Filosofico Domenicano (Bologna), Antropologia teo-logica alla Facoltà teologica dell’Emilia Romagna (Bologna) e Teologia presso l’Università Cattolica (Milano) e direttore della rivista Divus Thomas, dopo una ricostruzione genealogica dell’individualismo liberale, tenta di tracciarne delle via d’uscita.

Perché, padre, oggi pensa sia importante lo studio di teologi come Hauerwas, Milbank e Cavanaugh? Quale contributo imprescindibile forniscono al dibattito?
«Il contributo di questi teologi consiste innanzitutto nell’interpretazione critica delle coordinate socio-politiche moderne e contemporanee a partire dal punto di vista offerto dalle grandi categorie teologiche. Tra queste il riferimento costitutivo alla Chiesa, prima e al di là delle differenze confessionali, costituisce sicuramente uno degli elementi caratterizzanti la teologia di questi autori. Il fatto poi che siano teologi appartenenti all’orizzonte di lingua inglese ci aiuta a discernere, in modo tutt’altro che superficiale, i tratti costruttivi e i limiti del significativo influsso culturale che proviene da quel mondo».

In che cosa consiste la ragione liberale? E come è riuscita a imporsi?
«Si tratta di un’espressione che Milbank utilizza per caratterizzare il pensiero politico moderno così come si è sviluppato a partire dal cambiamento di paradigma operato principalmente da Thomas Hobbes e proseguito da John Locke, sulla scia dell’impianto nominalista e volontarista. I motivi che hanno portato questa forma della ragione ad imporsi sono molteplici e da ricercare soprattutto nel complesso intreccio di eventi politici ed economici che hanno segnato la storia dell’Europa dalla disgregazione dell’unità medievale».

Perché è importante una teologia sociale?
«La teologia è chiamata ad interpretare alla luce della Rivelazione ogni aspetto della realtà. Essa non può pertanto esimersi dal-l’offrire una visione cristiana della fondamentale convivenza umana, in quanto la salvezza stessa, come è stato autorevolmente messo in luce da Henri de Lubac, ha un carattere intrinsecamente sociale».

In che senso l’ecclesiologia fornisce un modello alternativo alla ragione liberale?
«L’ecclesiologia mostra che l’umana società non è da considerare come un mero composto eterogeneo di individui, ma come una realtà che, attraverso una tessitura reale di legami interpersonali divino- umani, oltrepassa effettivamente la semplice somma delle sue parti».

In cosa la sua proposta si distingue da quella dei tre teologi post-liberali?
«Più che distinguermi da Hauerwas, Milbank e Cavanaugh, ho cercato di prolungare la loro riflessione concentrandomi sulla genealogia intellettuale dell’iperindividualismo contemporaneo, per poi mostrare come la Chiesa, nel-l’essere semplicemente se stessa, costituisca la concreta condizione di possibilità per la rigenerazione del legame sociale. In questo senso, si è rivelata decisiva la rilettura, sulla base di alcune categorie di san Tommaso d’Aquino, della Lettera gli Efesini e della Costituzione Gaudium et Spes del Concilio Ecumenico Vaticano II».

Lei parla di «fraternità sociale postmoderna». Può spiegare questa idea?
«In forza del dualismo tra fede e ragione, si è pensata la fraternità nei termini di un astratto universalismo che nulla toglie al fondamentale impianto individualistico della ragione liberale. Con Milbank possiamo invece concepire la realtà sociale come una fraternità post-secolare a centri concentrici, dove il più interno corrisponde alla pienezza della fraternità all’interno della Chiesa mentre il più esterno verrebbe a coincidere con coloro che non appartengono alla Chiesa, ma che inoberto teragiscono col clima di fiducia e di donoscambio che s’irradia dal suo interno. In termini più semplici si tratta di porre a tema la fraternità sociale oltrepassando le strettoie della contrapposizione tra credenti e non-credenti, ma senza nulla togliere al primato della grazia».

La Chiesa come “Mistero dei legami nel Legame”. Come è arrivato a questa definizione? E cosa comporta?
«È una sintesi della visione sottesa a Ef 4,1516: “Agendo secondo verità nella carità, cerchiamo di crescere in ogni cosa tendendo a lui, che è il capo, Cristo. Da lui tutto il corpo, ben compaginato e connesso, con la collaborazione di ogni giuntura, secondo l’energia propria di ogni membro, cresce in modo da edificare se stesso nella carità”. Si tratta di concepire l’intreccio dei legami di fede, speranza e carità che ci uniscono al Cristo e, in Lui, tra noi in modo da porre al centro del mistero ecclesiale la relazione interpersonale».

Ubi Ecclesia, ibi societas. Così lei conclude il suo lavoro. Come la Chiesa diventa generatrice di legami in un mondo pervaso dall’individualismo liberale?
«Se il liberalismo è stato un grande movimento socio-politico-culturale che ha permesso alla nostra civiltà di svilupparsi, non per questo non se ne devono criticare gli inevitabili limiti. Tra questi vi è lo slittamento dell’individualismo nella dissoluzione del legame sociale. A fronte di questo fenomeno, la Chiesa porta con sé un patrimonio di vita-relazione essenzialmente generativo, non solo perché è chiamata a generare sempre nuovi figli di Dio, ma perché quest’azione di grazia ridonda a vantaggio di tutti».

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