sabato 16 aprile 2011
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C’ è uno sport – di cui si tace spesso – che dal professionismo agli amatori è minacciato dal doping, dalle pozioni magiche che aiutano a superare i propri limiti umani, salvo poi rivelarsi dei «veleni letali» per la salute e la coscienza dell’atleta che dal podio del campione si ritrova sbattuto a terra, vittima solitaria nella polvere. Sta tutta qui la corsa radiosa di Roberto Barbi, 45 anni, lucchese (di Borgo a Mozzano) titoli e record a raffica, un 6° posto alla Maratona di New York del 1998, e poi la frenata drammatica, la trappola del doping e la caduta con la faccia nel fango nell’indifferenza di un mondo, quello dell’atletica, che finge castità additandolo come unico colpevole. Una storia a tratti tragica che ha deciso di rendere pubblica, per la prima volta, dopo la confessione resa ai Nas di Firenze all’interno dell’inchiesta «Operazione Quadrifoglio». Arriva trafelato in tuta e scarpe da ginnastica, appuntamento in un bar di Lucca, subito dopo il turno quotidiano da operaio alla cartiera di Lugliano. Barbi, come è cominciato il suo incubo del doping? A 26 anni, quando sono passato dalla corsa in salita alla maratona. I maratoneti più forti mi guardavano come quello che non poteva stare al loro passo. Se avessimo cor­so tutti alla pari e 'puliti' senza prendere niente io avrei avuto tempi di 2 ore e 14 mi­nuti. Sarei stato inferiore solo a Stefano Baldini che è uno da 2 ore e 13 minuti. Ma quando ho capito l’antifona ho pensato che c’era solo un modo per essere competi­tivo, prendere l’Epo anch’io. Come è stata la prima volta? Un caso, ero andato a comprare la bici per mia figlia e con il negoziante parlavo delle gare che dovevo affrontare e del mio stato di stanchezza. Un tipo che si occupava di ciclismo professionistico ascolta e quando esco dal negozio mi avvicina con molto tat­to dicendomi che lui aveva la soluzione per farmi stare bene e correre sempre più velo­ce. Detto fatto. Qualche ora dopo l’Epo era sul tavolo di casa mia e da quel momento in poi mi sono fatto di tutto: Gh, ormoni vari, efedrina... Una lista della spesa, ma come prendeva tutta questa roba? Due settimane prima dell’impegno agoni­stico mi iniettavo 2mila unità di Epo ogni giorno, così per la gara ero sicuro di essere al top. E funzionava? Sempre. Se ti fai di Epo non avverti più la fatica, di notte sei ancora talmente su di gi­ri che ti viene voglia di saltare giù dal letto e metterti a correre fino a quando non sei cotto. Nonostante le 8 ore di turno alla car­tiera, riuscivo ad allenarmi correndo fino a 35 km al giorno. Un Superman. Un elisir del successo, una corsa senza o­stacoli a vederla così. Correvo e vincevo. Per forza, con il doping abbassi i tempi di 1 minuto nella mezza maratona e fino a 5 minuti sui 41 km. Ma stava diventando un inferno. Correvo solo per pagarmi l’Epo che mi costava 250 mila lire alla settimana, un milione al mese mi­nimo. E poi dopo aver preso quella roba lì stavo male: palpitazioni, nausea a fine cor­sa, insonnia e naturalmente la depressione da astinenza. Non te ne accorgi, ma intanto sei diventato dipendente dalla sostanza e senza non puoi più stare. Se la sospendi smetti di essere vincente. Così vincente da dare nell’occhio e l’antidoping la trova positivo. La prima volta mi hanno beccato alla Maratona di Firenze del ’96: feci il ter­zo posto, correndo in 2 ore e 17 minu­ti. Sono stato un ingenuo, avevo un po’ di raffreddore e ho preso l’efedri­na. Però dalla federazione non mi fer­mano, mi lasciano fare, capiscono che posso essere un 'cavallo buono' e non mi controlla nessuno. Nel ’98 corro la Maratona di New York, ero pieno di ro­ba, arrivo 6°. A un certo punto si sparge la voce che stanno facendo controlli sul­le urine di un atleta italiano… Ero io.Ma ho continuato ancora indisturbato fino ai Mondiali di Edmonton 2001 quando mi hanno trovato positivo per la seconda volta e sono stato squalifica­to per quattro anni. Pena ridotta a 25 mesi, ma è recidivo e come il gallo l’antidoping glie le canta per la terza volta. Nel 2003 nella 50 km. Avevo provato a ri­mettermi in carreggiata e mi sono tra­sferito con la famiglia da Lucca nelle Marche. A Grottazzo­lina la società per cui cor­revo mi aveva offerto un lavoro da 700 euro al mese e un’occupazione anche per mia moglie.Non potevo rifiutare, ma ho sbagliato, sono ricascato nel doping ed è stata la fine. Mi hanno iso­lato. Sono rimasto senza lavoro, avevo tut­to il mondo contro. Chi sono oggi i suoi detrattori? Quelli che sono stati anche i primi a giu­dicarmi con disprezzo, gli stessi che ave­vano fatto la mia stessa vita da dopato.Gente capace di prendere Epo e anfeta­mina nello stesso giorno, salvo poi stra­mazzare all’arrivo rischiando di andare all’altro mondo se non intervenivo a soc­correrli... Nonostante lo spavento, non credo che abbiano mai smesso, anzi con­tinuano e hanno fatto proseliti. E a spac­ciare le sostanze, da anni sono sempre i soliti: medici, infermieri, preparatori a­tletici, rappresentanti farmaceutici e dirigenti che gravitano intorno alle piccole e grandi società sportive. Stiamo parlando di un fenomeno in crescita? L’80% degli amatori posso assicurare che assume sostanze dopanti. A livelli alti ci stai solo se prendi qualcosa al­trimenti sei tagliato fuori. E io li rico­nosco lontano un chilometro. Quando si presentano all’arrivo freschi come una rosa, senza una goccia di sudore, so che in vena hanno l’Epo. Braccia a 'pelle di galli­na' hanno preso sicuramente stimolanti, la 'coscia da modella' è indice di tanto Gh.Le contratture di certi calciatori di 40 anni che corrono come diciottenni mi danno molto da pensare, ma non credo che nes­suno abbia interesse a controllare sul serio. Anche il calcio avrebbe bisogno di mag­giori controlli? Non c’è disciplina in cui non prendono.Nelle Marche, ho conosciuto un calciatore di 21 anni che doveva passare a un club professionistico, ma ha preferito non pre­sentarsi al ritiro estivo perché da anni nei dilettanti lo imbottivano di sostanze. In tut­ti gli altri sport, dal ciclismo all’atletica, lo sappiamo tutti come vanno le cose... Ma quanto fa male una vita da dopato? Io ci ho rimesso una valvola aortica che a­desso funziona a mezzo servizio e la dotto­ressa che me lo ha diagnosticato non sa an­cora quale passato ho alle spalle. Mi ha det­to che devo stare attento, di non esagerare con la corsa. Ora al massimo corro 2-3 chi­lometri, tanto per non dire che ho chiuso con lo sport. Come ha fatto invece a chiudere con le so­stanze? Ho chiuso (nel 2007) perché mi hanno fer­mato. E poi grazie all’amore di mia moglie e delle mie figlie Chiara e Francesca. La più grande sa tutto. La piccola corre e va forte, ma le piace anche la danza e a dirla tutta, mi sento più sicuro quando so che prova un passo in punta di piedi, piuttosto che cercare di arrivare prima a una gara d’atle­tica. Si è mai chiesto il perché di questa sua cor­sa assurda? Perché sono nato correndo. Non l’ho fatto certo per soldi. Il massimo dei guadagni di una stagione potevano essere 50 milioni di lire, ma non li ho mai visti tutti e li ho bru­ciati con quel veleno. Non sono mai stato ricco e oggi, se riesco a mandare avanti la famiglia, è solo grazie all’opportunità di la­voro alla cartiera che mi ha concesso il Gruppo Romano, altrimenti sarei in mezzo a una strada con tutti pronti a indicarmi come 'quel dopato' del Barbi. Ma non san­no invece che adesso sono un altro uomo, finalmente pulito. Ora sono pronto anche ad aiutare chi ha problemi con il doping, specie i ragazzi. Cosa si sente di dire ai giovani? Di vivere lo sport solo come un divertimen­to e di non provare mai a superare i propri limiti, come ho fatto io. Ci si fa solo del ma­le. Vorrei tanto allenare i ragazzi ad evitare i tanti errori e i pericoli di uno sport che pur­troppo è dopato, come un po’ tutta la so­cietà.
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