
Il filosofo Massimo Cacciari - Fotogramma
Papa Francesco è stato «l’unico che ha avvisato i naviganti che si sta andando contro la scogliera. E adesso il venir meno anche di questa voce rende tutto più difficile. Più difficile avere ascolto, più difficile organizzare qualcosa, più difficile tutto. A meno che il suo successore non riprenda con altrettanta decisione le indicazioni, la prospettiva, le idee di papa Bergoglio. Ma questo chi può dirlo?». Nell’impegno del pontefice per fermare i conflitti che insanguinano i mondo il filosofo ed ex sindaco di Venezia Massimo Cacciari - una delle menti che più si stanno spendendo nel dibattito intellettuale e politico per le ragioni della pace - individua come lascito del pontefice una «ragionevolezza» rimasta inascoltata su questo tema e su altri come l’immigrazione e la giustizia sociale.
Il gesto o parola che l’ha più colpita?
«Proprio il nome che si è dato da eletto, Francesco. Dice tutto. La Chiesa ha bisogno di una riforma che non è soltanto di ordine morale e organizzativo, ma è proprio il ritornare a praedicare Verbum. E nient’altro. Questa è la sua missione. E quando dici praedicare Verbum dici la tua posizione sull’ecologia, dici la tua posizione sulla pace, dici tutto. Perché si è chiamato Francesco, sennò? Non è che si è scelto il nome per simpatia».
Molti hanno considerato il suo approccio più sociologico che filosofico-teologico. Cosa ne pensa?
«La sua teologia è quella tipica del suo ordine (i gesuiti ndr) nel quale ovviamente possono esserci grandi menti teologiche e grande studio, ma è la militanza che conta, il miles. È la prassi che decide. L’albero si vede dai frutti. C’è questo elemento non contemplativo nell’ordine di Ignazio, questa “mistica solida”, come diceva santa Teresa».
C’è anche in lui una visione drammatica? Pensiamo all’immagine da solo in piazza San Pietro sotto il Covid.
«La sua solitudine è quella di un uomo che cerca di riformare la Chiesa nel nome di Francesco e di Ignazio, due grandi salvatori della Chiesa in due epoche assai diverse, ma entrambe molto drammatiche. C’è la famosa immagine di Francesco che sorregge il Laterano. Un Papa, dunque, che si avvede della drammaticità del tempo per la Chiesa e della Chiesa nel tempo. Soprattutto in Occidente, culla della cristianità».
Qual è la sfida?
«È in atto un processo di scristianizzazione, da non confondere assolutamente con la secolarizzazione, che sarebbe tutta dentro la logica del cristianesimo, la religione più laica e secolare. La scristianizzaione invece è il venir meno di tutti quei principi che fanno la paradossalità, il valore, il significato, il sale dell’annuncio evangelico».
Francesco è stato in tutte le frontiere del mondo. E ha posto questioni molto attuali sull’impatto dell’ecologia e della tecnologia.
«Sì, ma il verbo che ha predicato chi lo ha ascoltato? Forse qualche settore della Chiesa. Ma altri lo hanno osteggiato, anche apertamente. E nel mondo, nel secolo, tra gli arconti di questo mondo, chi lo ha ascoltato? Assolutamente nessuno».
Fino all’ultimo, però, ha levato la sua voce per la pace.
«È stata l’unica voce autorevole sul piano globale che ha cercato di dire che forse sarebbe sembrato più ragionevole cercare un accordo politico-diplomatico che continuare il massacro. L’unico che ha visto con realismo come si stia svolgendo nel mondo la “terza guerra mondiale a pezzi”, con il pericolo catastrofico che questi pezzi si riuniscano in un’unica grande esplosione. Non c’era bisogno di spirito profetico per dirlo, ma le cose vanno in quella direzione».
Qual è il suo lascito?
«A tutto il mondo, credenti e non, ha lasciato questo forte appello alla ragionevolezza: guardate, continuando così è inevitabile la catastrofe, non potete lasciare aperte in giro per il mondo infinite reazioni nucleari, sperando che si autogovernino. Vanno spente o governate oppure finiranno in una grande esplosione. E questo vale per tutti i problemi su cui è intervenuto: immigrazione, diseguaglianze e grandi conflitti internazionali, in Medio Oriente, in Ucraina e Russia... Il venir meno di questa voce rende ancora più angosciosa la posizione di chi condivideva questa diagnosi e cercava una qualche terapia».