Topolino, Dante e la cultura pop: la lezione di Fausto Colombo
di Guido Gili
In volume l'ultimo atto accademico dello studioso morto lo scorso 14 gennaio: per comprendere il nostro tempo ci serve Topolino narratore di Dante

Che cosa c’entra Topolino, celeberrimo personaggio disneyano, con la Divina Commedia, una delle più grandi opere della letteratura mondiale e pilastro della nostra lingua e cultura nazionale? C’entra perché nel 1949-1950 è stata pubblicata in sei puntate nel mensile edito da Mondadori una parodia dal titolo L’inferno di Topolino, ideata e disegnata da due autori italiani (Martina e Bioletto), primo esempio di un filone di grande successo, quello delle “Grandi Parodie”. Un modo per “tradurre” in modo divertente, ma non senza una valenza educativa, un grande capolavoro letterario in un genere “minore”, il fumetto per bambini, tipico della cultura popolare.
L’inferno di Topolino può essere assunto come caso esemplare per chiarire che cos’è e come è possibile comprendere la cultura popolare italiana. Una cultura a cui appartengono anche Le avventure di Pinocchio di Collodi, Mistero Buffo di Dario Fo, le canzoni di Battiato, Jannacci e Gaber, ma anche di Raffaella Carrà, il personaggio/maschera di Fantozzi di Paolo Villaggio, programmi televisivi diversi tra loro come Non è mai troppo tardi, Quelli della notte e Il Commissario Montalbano, generi cinematografici come gli spaghetti western e i cinepanettoni e personaggi come Franca Valeri, Renato Pozzetto, Diego Abatantuono e Checco Zalone.
Tutti questi autori, personaggi e prodotti culturali sono stati “convocati” nell’ultima partecipatissima lezione che Fausto Colombo, uno dei più noti sociologi della comunicazione italiani, ha svolto davanti a colleghi e allievi di più generazioni il 13 novembre 2024 nell’Aula Magna dell’Università Cattolica di Milano in occasione del suo pensionamento, e ora pubblicata con il titolo di Lezione sulla cultura popolare da Vita e Pensiero (pagine 128, euro 12,00; il libro sarà presentato alla Casa della Cultura a Milano martedì 27 maggio alle ore 18.00 con Roberto Diodato, Ruggero Eugeni, docenti dell’Università Cattolica, e Lorenzo Luporini che con Colombo ha scritto il volume Una storia in comune. Perché la cultura pop racconta chi siamo, Mondadori). Una lezione che è anche l’ultima espressione del suo magistero intellettuale, poiché Fausto Colombo ci ha lasciati il 14 gennaio 2025. Il tema che ha scelto per questa lezione gli era familiare, poiché ad esso aveva già dedicato alcune opere fondamentali, come La cultura sottile (1998), Il paese leggero (2012) e Storia della comunicazione e dello spettacolo in Italia. I media alla sfida della democrazia 1945-1978 (con Ruggero Eugeni, 2015).
In questa ultima Lezione, Colombo affronta un problema ancora irrisolto della sociologia della cultura, mettendo ordine in un grappolo di concetti spesso contrapposti o sovrapposti in modo semplicistico, come cultura alta e bassa, cultura di élite, cultura folk e cultura di massa, cultura istituzionale e cultura popolare, controcultura e subcultura, ripercorrendo in poche limpide pagine un dibattito che ha visto protagonisti autori come Max Horkheimer e Theodor W. Adorno, Raymond Williams e Stuart Hall, Roland Barthes, Umberto Eco e Michel de Certeau. Ma il centro e lo scopo principale della lezione è il tentativo di mostrare come lo sviluppo della cultura popolare italiana abbia influito profondamente sul nostro modo di pensare, di sentire e di comunicare, divenendo parte integrante delle nostre pratiche di vita quotidiana e del nostro immaginario, intrecciandosi con i processi di industrializzazione e urbanizzazione, con l’affermazione dei media di massa e con il complesso definirsi e ridefinirsi dell’identità nazionale nella storia delle diverse generazioni, dal dopoguerra ad oggi.
Per far emergere i prodotti e i protagonisti della cultura popolare dallo sfondo della storia sociale e culturale del nostro Paese, Colombo ha elaborato una matrice concettuale composta di quattro elementi tra loro interconnessi: i contesti esterni, le strutture interne, i generi e le tendenze, le soggettività. Una analisi sociologica non può prescindere innanzitutto dal contesto, cioè dalla generale situazione storica, sociale, economica e culturale, che costituisce al tempo stesso un fattore che promuove l’attività di produzione della cultura popolare, ma anche un vincolo (si pensi ad esempio ai vincoli economici o ai pregiudizi che possono frenare l’adozione di nuovi temi o stili espressivi o a misure politico-istituzionali come la censura). Un secondo fattore essenziale è costituito dalle strutture interne, cioè dall’articolazione delle macchine produttive, dall’industria editoriale a quella radiotelevisiva, a quella discografica, dotate di caratteristiche e logiche specifiche, all’interno delle quali operano varie categorie di professionisti e creativi. Questo elemento strutturale comprende anche le caratteristiche dei pubblici a cui i diversi prodotti e media si rivolgono. Il terzo elemento è costituito dai “generi” produttivi, cioè un insieme di caratteri e di codici relativi ai contenuti e alla forma dei testi, condivisi dagli autori e dai destinatari e che consentono al pubblico di riconoscere tali testi (comico, drama, giallo), ma anche tendenze e “torsioni” che consentono di interpretare in chiave nazionale generi e prodotti consolidati, come nel caso del sotto-genere degli spaghetti western o del genere poliziesco espresso in storie caratterizzate da un particolare contesto regionale e dal rapporto umano tra il protagonista e la sua squadra, come il Maresciallo Rocca, Montalbano o Schiavone. Infine, l’ultimo elemento che fa da cerniera di tutti i precedenti è costituito dalle specifiche soggettività di coloro che agiscono all’interno delle strutture produttive con la loro professionalità e capacità creativa unica: imprenditori (come Ricordi o Mondadori), autori e scrittori (come Camilleri o Manzini), registi e sceneggiatori (come Fellini o Leone), conduttori radio-televisivi (come Arbore o Fiorello), compositori (come Morricone o Rota), attori capaci di dare una loro specifica impronta ai personaggi (come Sordi, Tognazzi, Villaggio o Proietti).
A conclusione di questa breve presentazione, che vuole essere soprattutto un invito a leggere questo prezioso e godibile libretto, ma anche a riprendere in mano tanti studi importanti di Fausto Colombo e non solo sulla cultura popolare, conviene riproporre alcune righe di una lezione di Roland Barthes che Colombo fa proprie nella Premessa e che ben riassumono il suo percorso intellettuale e umano: «C’è un momento in cui si insegna quel che si sa; ma subito dopo ne arriva un altro in cui si insegna quel che non si sa: questo si chiama cercare. Arriva forse ora quello di un’altra esperienza: quella di disimparare, di lasciar lavorare la modificazione imprevedibile che l’oblio impone alla sedimentazione dei saperi, delle culture, delle credenze che si sono attraversate. Questa esperienza ha, credo, un nome illustre e fuori moda, che oserei qui usare senza complessi all’incrocio stesso della sua etimologia, Sapientia: nessun potere, un po’ di sapere, un po’ di saggezza, e quanto più sapore possibile».
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