mercoledì 2 marzo 2011
Oggi tutto è un percorso. Lo sconosciuto che partecipa a un reality sostiene di aver fatto un percorso. Il delinquente in galera è sottoposto a un percorso di recupero, come il tossico. La vita di coppia è un percorso, di guerra e di pace. Due genitori che intendono adottare un figlio devono compiere un percorso affettivo. Leggere un libro è un percorso di lettura. Di solito, però, chi si riempie la bocca della parola «percorso» non si smuove mai dalle sue convinzioni.

Dei miei molteplici «percorsi» di lettura, mi rimangono spesso tracce in note, ritagli, appunti che dopo mesi di giacenza cestino. È così che mi è tornato tra le mani (ed è stato salvato) un frammento di rivista ove era conservata questa osservazione pungente del principe dei nostri critici televisivi, Aldo Grasso (che certo "auto-ironizzerà" su questa definizione che gli assegno). La verità che ci propone è, a mio avviso, duplice e utile a tutti, anche a chi non fa «percorsi». Innanzitutto egli ci mette in guardia contro l'uso degli stereotipi. È terribile, ma quanto più diventa rarefatto il nostro linguaggio, tanto più lo si inzeppa di luoghi comuni, di cliché banali indotti dalla moda soprattutto televisiva (e questo vale anche per il comportamento).
Occorre una purificazione della comunicazione dalle parole "nere", ossia vacue e fatue, scimmiottature di replicanti. Ma c'è un'altra verità ed è quella esplicitata da Grasso: chi si pavoneggia per i suoi «percorsi» in verità è fisso e inamovibile come un paracarro. Chi ricerca autenticamente non lo ribadisce a ogni passo; la creatività non ha «percorsi» scontati, ma è fatica nell'analisi, originalità nelle indagini, umiltà anche nel tornare indietro se la strada è errata. Non è imitazione di un tic o di una moda, ma è rischio, interrogazione, impegno serio e severo.
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