sabato 2 agosto 2003
Nell'Oriente si ama la vecchiaia perché si pensa sia fatta per pregare. Quando si è vecchi e si avverte Dio vicino attraverso la parete sempre più sottile della vita biologica, si diventa come un bambino cosciente che si affida al padre, si sente alleggerito dalla prossimità della morte, trasparente a un'altra luce" Per questo ogni monaco nel quale l'ascesi ha portato il suo frutto è chiamato in Oriente "un bel vecchio". Bello della bellezza che sale dal cuore. Sul traghetto che percorre il lago di Como ho incontrato ieri un vecchio dal profilo mirabile: se dovessi immaginare il centenario Abramo che riesce a generare ancora Isacco, penserei proprio a questa figura, isolata e silenziosa in mezzo allo squittio dei turisti. Ho, così, voluto riprendere un tema che tocca anche parecchi miei lettori, quello della vecchiaia serena. Io l'ho di fronte proprio in mio padre, coccolato e seguito in ogni momento dalle mie sorelle. Ma realisticamente, proprio in questo mese di vacanze, mi vengono alla mente anche tutti gli anziani parcheggiati negli ospizi o dimenticati negli appartamenti infocati delle città. Eppure è possibile ritrovare una pace e una bellezza anche in quello stato e in quella fase della vita e ne ho avuto spesso conferma diretta. È ciò che dice nel passo sopra citato il teologo ortodosso francese Olivier Clément, 82 anni, nella sua opera La preghiera del cuore (Jaca Book 1998). Egli continua così, spiegando la missione dell'anziano sereno: «Abbiamo bisogno di vecchi che pregano, che sorridono, che amano con amore disinteressato, che sanno meravigliarsi. Essi soli possono mostrare ai giovani che vale la pena di vivere e che il nulla non è l'ultima parola».
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