giovedì 11 maggio 2017
Il brutto nome -badanti - si è imposto da solo. Brutto perché tradisce una fatica, un imbarazzo, qualcosa di irrisolto che chiede di essere guardato.
Indimenticabile quella donna africana - imponente, regale, grande mama - che disse in tv: ci affidate la cosa che per noi è la più cara, gli ultimi anni dei vecchi. Fino all'ultimo respiro, dal quale - raccontò un'altra - i figli certe volte scappano, non ne vogliono sapere, stanno a casa e aspettano la telefonata.
Il senso di colpa è un vicolo cieco. Si dovrebbe semmai trovare un nome più degno per questa cosa preziosa.
Donne che arrivano dall'altro capo del mondo per prendersi cura al posto nostro, mentre altre laggiù si prendono cura al posto loro. "Controfigure" del Terzo mondo venute qui a darci libertà ma anche a guadagnarne: quel lavoro di cura che noi intendiamo come oppressione, per loro è emancipazione.
Si tratta quasi sempre un "fra donne" che negoziano tempi, modi, stipendi. Ma qualcosa sfugge alla negoziazione e al mercato.
Amore, legame, cura sono la materia viva di cui si tratta e su cui si scambia, materia che non si fa contenere dalla misura universale e onnivora del denaro, oggetto che straborda e chiede di essere rappresentato. Ciò che sfugge al mercato è sempre relazione.
Il nome che va trovato al posto di "badanti" dovrebbe saper raccontare questa complessità.
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