sabato 10 giugno 2017
Contemplo l'immagine gioiosa della piccola Saffie Rose Roussos, 8 anni, la più giovane vittima dell'attentato di Manchester. L'insostenibile pesantezza del dolore mi offre un baricentro nel caos del male radicale.

Inglese nato da genitori libici in fuga da Gheddafi, il kamikaze dei ragazzini Salman Abedi non era il solito disperato emarginato. La sua famiglia in esilio aveva trovato accoglienza in Gran Bretagna: casa, lavoro, assistenza sanitaria, scuole. Un valore, quello dell'ospitalità, che soprattutto i popoli del Sud di solito tengono in alta considerazione. Ma qui qualcosa è andato molto storto. Qui, in cambio dell'accoglienza, la strage degli innocenti.

Tra le tante cose lette in questi anni mi soccorre una riflessione del filosofo e psicoanalista Slavoj Žižek. Dei fondamentalisti veri, dai buddisti tibetani agli Amish, Žižek sottolinea «l'assenza di risentimento e invidia, la profonda indifferenza verso lo stile di vita dei non-credenti», mentre «i terroristi pseudo-fondamentalisti sono profondamente turbati, intrigati, affascinati dalla vita peccaminosa dei non-credenti… Combattendo l'altro peccaminoso, combattono in realtà la loro stessa tentazione… Il problema dei fondamentalisti non è che noi li consideriamo inferiori, ma che loro stessi si sentono segretamente tali». E la pacatezza del nostro dolore «li rende solo più furiosi, e nutre il loro risentimento».
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