venerdì 1 agosto 2003
Gli uomini s'indignano ferocemente non soltanto quando li combattiamo, ma anche quando scoprono che abbiamo rinunciato a difenderci per rendere più evidente la loro viltà. Si offendono se facciamo loro sentire la nostra superiorità morale. Ho incontrato poche volte lo scrittore friulano Carlo Sgorlon, ma ne serbo un ricordo molto intenso perché è una persona che infonde serenità con la sua pacatezza e con le memorie di una terra di frontiera. Una terra e un popolo che hanno ottenuto il dono della sapienza proprio attraverso la loro storia complessa, mutevole e sofferta. Qualche mese fa mi ha inviato il suo ultimo romanzo, L'uomo di Praga (Mondadori), una vicenda alonata di una luce invernale (non per nulla comincia la sera di Santa Lucia col vento di tramontana "forte e gelato"), dominata dalla figura di Alvar, personaggio cavalleresco e geniale, generoso e indecifrabile, dalle diverse identità. È lui a creare attorno a sé, soprattutto tra le persone meschine proprio quel sentimento che è tratteggiato nella citazione che ho proposto. È proprio vero: spesso ci sono persone che diventano da vili cattive e crudeli, quando s'accorgono che l'altro è migliore di loro, più magnanimo e nobile.
Vorrebbero che ci si mettesse al loro livello, divenendo acrimoniosi e meschini, vendicativi e miserabili. Qualcosa del genere - forse solo in una punta o in una scintilla - alligna in tutti noi. Quando ci troviamo spiazzati da un atto inatteso di generosità, lentamente s'accende in noi una sorta di insofferenza verso la superiorità morale dell'altro. Ed ecco la piccineria affiorare con lo sparlare di lui, l'impotenza farsi vendicativa in modo subdolo, la grettezza sfogarsi con l'invidia e la detestazione. Avere un cuore longanime, sincero, coerente è una grande dote da custodire con fermezza, anche quando si è tentati dalla meschinità.
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