Se la sinistra perde il senso dei suoi slogan
venerdì 18 maggio 2018
Acura di Giuliano Battiston e Giulio Marcon, l'editore minimum fax ha pubblicato un volume del cui contenuto mi sembra difficile fare a meno nei mesi e anni prossimi: La sinistra che verrà. Le parole chiave per cambiare, una sintetica, maneggevole enciclopedia di idee-problemi e idee-realtà, da capitalismo a welfare, da cooperazione a decrescita, da ecologia a disuguaglianza, da libertà a lavoro, da Europa a Terra, da migrazioni a movimenti. E poi femminismo e pace, politica e precariato, produzione, Sud, globalizzazione, giustizia, reddito di base. Tra gli autori, Richard Sennett, Serge Latouche, Agnes Heller, Vandana Shiva, Colin Crouch... «La cultura politica della sinistra – dice Marcon nell'introduzione – va aggiornata e ricostruita anche attraverso un lessico nuovo» perché parole e nozioni stanno perdendo stabilità e spessore concettuali, mentre le bibliografie accademiche internazionali su ogni questione diventano sterminate, messe in memoria, dimenticate o ridotte a slogan. È il pericolo del linguaggio politico. È vero che ogni sapere necessario all'azione va riassunto e sintetizzato. Anche i più antichi testi sacri erano spesso raccolte di aforismi, sentenze, proverbi, istruzioni concentrate di saggezza pratica. Ma non è un caso se ogni testo sapienziale sia stato poi ripetutamente commentato, meditato e rimasticato, reinterpretato in vista della sua applicazione al presente. Il punto di partenza del libro è che «dagli anni Ottanta, la sinistra è stata colta di sorpresa». Il sociologo Luciano Gallino li definì gli anni in cui si impose improvvisamente «una lotta di classe capovolta», cioè degli sfruttatori contro gli sfruttati. Il terrorismo rosso del decennio precedente aveva diffamato teoria e prassi, parole e azioni della sinistra marxista, creando un rigetto istintivo di tutta la tradizione socialista e comunista. Alla sinistra restò l'ecologismo, il femminismo, la difesa di una democrazia "presa sul serio", la difesa dei diritti delle maggioranze e delle minoranze, e infine l'eredità libertaria e non violenta dell'anarchismo. La cosa che allora, mi sembra, fu poco capita a sinistra come a destra, fu che la globalizzazione e la rivoluzione tecnologica non erano fenomeni trionfalmente liberatori, erano piuttosto l'apertura di enormi spazi disponibili anche all'arbitrio e all'abuso perché sottratti al controllo democratico. E oggi? C'è bisogno sia di senso civile e comunitario sia di individualismo responsabile e coraggioso: di utopie concrete anche limitate ma esemplari, capaci di spezzare l'inerzia abitudinaria, mimetica, conformista dei comportamenti di massa.
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