mercoledì 4 giugno 2003
Le vittorie e le disfatte dei pesci grossi e dei pesci piccoli non vanno sempre d'accordo, anzi. Ci sono persino dei casi nei quali per i pesci piccoli la sconfitta, in fondo, è un guadagno. Sto leggendo Un incontro pericoloso (Adelphi 1997) dello scrittore tedesco Ernst Jünger, morto ultracentenario nel 1998. È la storia della caduta dall'altare del benessere nella polvere della miseria, sperimentata dal marito di una ricca ereditiera americana piantato dalla moglie e, così, costretto a passare dalla carrozza privata alla vettura di piazza, dall'abbondanza all'indigenza. Egli, però, conserva sempre un suo stile, una sua nobiltà e una dignità anche esteriore. Mi viene in mente, allora, di proporre una riflessione proprio sul saper perdere. La
faccio basandomi su una frase che va un po' oltre nel tema e che appartiene a una delle opere più acclamate anni fa, ora un po' appannata, Madre Courage e i suoi figli, dramma del tedesco Bertolt Brecht (1939), reso popolare da noi soprattutto ad opera di Giorgio Strehler. Due sono, dunque, le considerazioni che vorrei suggerire. La prima, più generale, è su un'arte difficile da
praticare, quella appunto della dignità della sconfitta, cioè del saper accogliere un insuccesso senza inveire, senza vittimismi, senza eccessi di ogni genere. È sempre meglio perdere per un'idea e per un atto di cui si è convinti che vincere per una scelta spregevole o per un inganno. La seconda osservazione riguarda, invece, quello che dice Brecht. Ci sono perdite che possono essere proficue non solo perché fortificano lo spirito e rendono più realistica la nostra visione della vita, ma anche perché ci conducono verso altre strade e mete. Importante è non scoraggiarsi e non avvolgersi nel bozzolo dell'inerzia o della
sdegno.
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