venerdì 26 febbraio 2016
Il bel film di Gianfranco Rosi Fuocoammare offre molti motivi di riflessione, i più importanti quelli che riguardano gli immigrati che sbarcano a Lampedusa, un'isola diventata suo malgrado un punto chiave della storia e della geografia odierne, pietra di paragone e pietra d'inciampo della storia italiana ed europea. Mette a confronto due situazioni, quella appunto degli immigrati e della loro tragedia, e quella degli isolani. Le due umanità unite nel film soltanto dalla lucida e sofferta esperienza di un medico, un vero e per fortuna non raro eroe del nostro tempo, non una di quelle risibili parodie di supereroi della cronaca con cui i media amano gingillarsi e il cinema americano stordirci. È questo il limite del film, di non aver esplorato altri confronti tra lampedusani e immigrati, muovendosi anzi su due registri narrativi diversi: quello del documentario per quanto riguarda gli immigrati e del film a soggetto di tradizione neorealistica, di quelli i cui interpreti erano «presi dalla vita», come si diceva al tempo di Ladri di biciclette e Due soldi di speranza. Ma non è sugli sbarchi, e sulle tragedie che li motivano e li circondano, che voglio soffermarmi, ma sulla parte del film che ha per protagonista un bambino nell'età della pubertà e alle soglie dell'adolescenza: tempo in cui si muta e ci si studia, ci si scopre e in qualche modo ci si progetta, attraverso il confronto col mondo e l'avvio verso l'età adulta. Si può obiettare al film di Rosi che le due parti (la Lampedusa di sempre e la Lampedusa degli sbarchi) nel suo racconto non s'incontrano e confrontano abbastanza, e che la parte degli sbarchi è più bella e nuova dell'altra, ma i motivi di interesse della parte che narra la vita quotidiana abituale degli isolani sono comunque tanti, e c'è il personaggio del ragazzino Samuele a focalizzarli, che si confronta con l'ambiente e soprattutto col mare perché sa che sarà il mare a segnare le sue scelte. Assistiamo a un modo di crescere "tradizionale" e dunque libero, che non è solo la famiglia e la scuola, ma le completa e le apre e che è quanto manca più di tutto all'educazione come oggi è concepita e praticata. Giochi, imprese (la fionda, l'ambiguo dialogo con gli uccelli e più in generale col mondo animale, amato e violentato), e il mare intorno, sempre il mare. Si ha il sospetto che Rosi abbia voluto tacerci della presenza di segni di "post-modernità" (Samuele non usa cellulare e computer) che probabilmente ci sono, così come ha tenuto Samuele da parte in rapporto agli immigrati, ché mai lo vediamo incrociarli, dialogarci. Ma, ripeto, resta ed è importante la descrizione di un modo di crescere oggi desueto, che un mal gestito "progresso" ha superato, ha lasciato da parte o ha ammazzato. Mondo di ieri o mondo di oggi, è tuttavia una lezione su come si cresceva e da qualche parte si cresce ancora, in modi certamente più veri di quelli alienanti e disperanti dell'educazione attuale. Se Samuele è ancora un oggi, auguriamoci che possa essere anche un domani.
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