venerdì 2 febbraio 2007
Beati coloro che soffrono persecuzione a causa della giustizia, perché ad essi importa più la giustizia che il loro destino" Fare il bene al tuo nemico può essere opera di giustizia e non è arduo; amarlo è impresa di angeli e non di uomini. È stato non di rado ospite in questo nostro spazio lo scrittore argentino Jorge Luis Borges (1899-1986): il suo dichiarato agnosticismo in verità lasciava sempre aperte larghe fenditure ove passava un interesse appassionato per i temi religiosi, soprattutto cristiani. È il caso di queste due considerazioni modulate sul Discorso della montagna di Cristo e desunte dall'Elogio dell'ombra (1965). Da un lato, si esalta la dedizione vera alla giustizia, una consacrazione totale della propria esistenza a questa causa, pronti anche a rinunciare al proprio interesse e persino alla vita. Noi vorremmo solo fare una piccola osservazione: si è capaci oggi non dico di sacrificare l'esistenza ma di perdere un piccolo vantaggio per una causa ideale? Ahimè, la parola «rinuncia» l'abbiamo ormai cancellata non solo dal vocabolario pedagogico ma anche da quello ecclesiale e spirituale. Si vuole sempre tutto e senza limiti perché - si dice - non si deve amputare la personalità, e il risultato è un bello e tondo egoismo. D'altro lato, Borges evoca il tema evangelico dell'amore per il nemico e riconosce la possibilità di praticarlo solo in una prima tappa, quella del non vendicarsi, anzi, del fare del bene all'avversario in difficoltà. Ma amarlo - continua - questo non è umano, è sovrumano. E forse non ha tutti i torti perché la natura umana da sola non riuscirebbe a raggiungere quella meta se non le si accostasse la grazia divina. Amare è, certo, un impegno, ma in alcuni casi è un dono da invocare.
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