sabato 2 luglio 2005
È inutile parlare molto quando si rifiuta di concedere qualcosa; l'altro sentirà sempre e solo il no.
Accade a tutti di dover rifiutare un favore: non è detto che sempre lo si faccia di malanimo o per egoismo. Le ragioni possono essere fondate e quindi si ricorre a un'argomentazione o a scuse motivate. Tuttavia - ci ammonisce Goethe nel suo dramma Ifigenia in Tauride, mirabile ripresa dell'omonima tragedia del greco Euripide - quel che rimane nell'altro che si era rivolto a te è il no, il diniego, il rifiuto. Nascono, così, freddezze e recriminazioni non sempre giustificate. Di fronte a questo dato di fatto si possono fare almeno due considerazioni.La prima riguarda le domande di favori. C'è spesso una petulanza, un'insistenza e una pretesa che diventano insopportabili. Molti sono sottilmente convinti che la loro richiesta sia quasi un diritto. C'è, poi, anche il fatto che spesso una concessione riservata a uno diventi motivo di rimostranze e recriminazioni da parte di un altro. Voltaire attribuiva questa battuta al re Sole, Luigi XIV: «Tutte le volte che assegno una carica faccio cento scontenti e un ingrato». Un po' di pudore e di discrezione nell'avanzare richieste sarebbe, perciò, salutare. C'è, però, una seconda osservazione da fare. Talvolta il rifiuto nasce da egoismo, pigrizia, dal disimpegno. E allora vale sempre il monito di Gesù: «Quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro» (Matteo 7, 12). La generosità è segno di carità e di animo nobile, soprattutto quando costa fastidio e fatica. «È più facile essere generosi che non rimpiangerlo», diceva lo scrittore Jules Renard.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: