martedì 14 marzo 2006
La felicità è soltanto il momento in cui l'infelicità si sta riposando. La vita a volte è così triste che l'unica reazione possibile è quella di riderci su. Accosto due citazioni che mi ero annotato qualche tempo fa. Il tema è comune: felicità e tristezza sono due volti della stessa realtà. La gioia pura e intatta può essere solo divina. Noi, creature finite, viviamo sempre sul crinale: quando siamo immersi nella festa, si affaccia la ferialità a strapparci via da quell'orizzonte per immetterci nella quotidianità ben più realistica (chi non ricorda il leopardiano Sabato del villaggio?). È ciò che afferma uno scrittore così prolifico da aver composto una valanga di romanzi, Georges Simenon (1903-1989). A me, che amo i gialli d'autore, come penso a molti lettori, è caro per il suo commissario Maigret, ma egli ha composto tanti altri romanzi lontani da quel genere e selezionati in Italia da Adelphi. Egli ci ricorda che in agguato c'è sempre la preoccupazione, l'affanno, l'angoscia, l'inquietudine, il cruccio. E così non riusciamo mai a bere fino in fondo il calice della felicità. Un consiglio provocatorio è quello che ci è suggerito dalla seconda citazione, una frase del regista e attore americano Woody Allen. È un po' sbarazzina, ma ha un'anima indubbia di verità. Forse bisogna prendere meno sul serio i nostri problemi, le ansie e gli assilli. Anche Gesù in un paragrafo del suo Discorso della montagna invita il discepolo per ben sei volte «a non affannarsi» (Matteo 6, 25-34): «Non affannatevi per il domani" A ciascun giorno basta la sua pena». Ma Cristo aggiungeva una nota che Allen non considera: «Il Padre nostro celeste sa di cosa avete bisogno» (6, 32). Essere, dunque, meno tesi, ma con una certezza in più,
quella di non essere soli nella vita.
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