sabato 18 marzo 2023
In lingua greca è «kórē», in lingua sanscrita è «kanīnaka» o «kanīnikā», e anche in quella ebraica, il termine “pupilla” ha analogo significato: indica una figura in miniatura, la piccola figurina che si riflette nel disco pupillare, talvolta detta “fanciullina” perché immagine ridotta di chi, guardando, si vede specchiato nell’occhio di colui o colei che si trova ad avere di fronte. Quasi che al centro dell’occhio e da lì rifrangentesi fosse un noi stessi in scala diminuita, un nostro essere più bambino, esposto, rimpicciolito e delicato e vulnerabile. “Pupillo”, “pupilla” possiede anche simbologia di creatura molto amata, che la palpebra di Dio protegge e custodisce (Salmi 17, 8: «Custodiscimi come pupilla degli occhi, all’ombra delle tue ali nascondimi »). Di nuovo, qualcosa di molto piccolo e prezioso. Pare che quando si prova attrazione per qualcuno, quando la persona che abbiamo davanti e che stiamo guardando ci piace molto, le nostre pupille si dilatino. Un dilatarsi per accogliere, per assorbire, contenere; e nel rispecchiamento allora è come divenissimo più grandi, ampliati e aumentati negli occhi altrui che ci riflettono. Come se ammirazione e apprezzamento ci accrescessero, non solo agli occhi degli altri, anche al nostro stesso sguardo; e quell’accrescerci potesse farci migliorare e maturare. © riproduzione riservata
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