martedì 14 dicembre 2004
Promettete, promettete a lungo, perché la speranza è più viva della riconoscenza.Un lettore di Venezia mi suggerisce questa frase che ha trovato in un vecchio libro di detti e massime e che è attribuita a un certo abbé de la Roche, personaggio anche a me ignoto. La battuta è, però, interessante ed è spesso una divisa dei politici che certamente non risparmiano sulle promesse. Tra parentesi, mi viene in mente l"altra frase che il Grillo parlante rivolge allo scapestrato Pinocchio di Collodi: «Non ti fidare, ragazzo mio, di quelli che ti promettono di farti ricco dal mattino alla sera. Per il solito, o sono matti o sono imbroglioni». Vorrei, però, mettere l"accento sulla seconda parte della frase del nostro abate.La riconoscenza - egli osserva - è ben più fragile ed effimera rispetto all"attesa e alla speranza di favori. Questa è una verità sacrosanta: tutti forse hanno scoperto che, se sei ritenuto necessario per un favore o per la carriera di un altro, sei sempre da lui blandito o, comunque, tenuto in considerazione e rispetto. Una volta raggiunto lo scopo, l"altro ti ringrazia e tutto finisce lì. Anzi, può persino capitare che ti accada quello che notava un importante scrittore moralista francese, La Rochefoucauld: «La gratitudine, nella maggior parte dei casi, è solo un desiderio velato di ricevere maggiori benefici». Impariamo, allora, la riconoscenza pura e sincera. Ma anche evitiamo, se è in nostro potere fare un favore, di giocare con le promesse e di far sperare inutilmente a lungo. Dante nell"Inferno ha un monito lapidario - «Lunga promessa con l"attender corto» (XXVII, 100) - per condannare le promesse non mantenute.
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