venerdì 12 gennaio 2018
Edb ha avuto la buona idea di stampare nella bella e varia collana dei Lapislazzuli la tesi di laurea di Giuseppe Pontiggia, La lente di Svevo a cura di Daniela Marcheschi (presentato in queste pagine da Alessandro Zaccuri lo scorso 19 dicembre). È una splendida tesi, un saggio su uno dei nostri scrittori della prima metà del Novecento più grandi (che da qualche parte Pontiggia paragona a Cechov, un confronto a cui non avrei mai pensato), diciamo pure una tesi d'autore perché vi sono presenti tutti quegli elementi che si ritrovano nell'opera stessa di Pontiggia, scrittore tra i migliori della seconda metà del Novecento. Ho avuto la grande fortuna di essergli amico – me lo fece leggere e conoscere Grazia Cherchi, che fu sua amica più a fondo di me – e di avere apprezzato soprattutto, ricordo, la sua ironia, la sua beneducata ma a volte dura ironia. Leggendo la sua tesi mi torna in mente soprattutto uno dei suoi romanzi, Il giocatore invisibile, dove sul fondo si ironizza sulla società intellettuale, anche universitaria. Che nostalgia si ha per letterati come Pontiggia, Peppo per gli amici, che erano tali al livello più alto ma che sapevano non prendersi troppo sul serio, e allargarsi dallo studio e dalla scrittura al rapporto con una società perpetuamente mobile anche se, sul fondo, la nostra e forse tutte, con costanti antropologiche, politiche, culturali che è necessario studiare ma allo stesso tempo combattere, senza lo sfoggio di tetri moralismi che è stato o è di altri scrittori, combattendola anche sul fronte di una pedagogia pratica, rivolta alle nuove generazioni. Una delle tante cose in cui Pontiggia eccelleva fu l'insegnamento della scrittura a giovani mossi più da narcisismo e sete di “esprimersi” che da esigenze profonde e da un vero amore per la letteratura. Si può dire, insomma, che insegnasse più a leggere che a scrivere. Ma non è solo a Pontiggia che si pensa di fronte alla sua tesi, poiché si è subito portati a confrontare le tesi di ieri con quelle che si fanno oggi, l'università di ieri con quella di oggi. Dell'università sono sempre stato fuori, in ogni senso, e non posso dirne in modi adeguati, ma mi pare che due dei cardini dell'insegnamento universitario che hanno cambiato faccia siano proprio il modo di fare le tesi, e la crisi di una forma di studio di gruppo – che ammiravo e invidiavo da fuori – come quella del seminario. La tesi su Svevo è un esempio bellissimo di un modo di lavorare di cui si è forse persa la traccia. Vi ritroviamo Pontiggia, vi comprendiamo meglio che un grande scrittore come Svevo e che grande scrittore Pontiggia sia stato, ma vi apprendiamo anche un modo di procedere, pur dentro la rigida istituzione universitaria, che ha avuto dei meriti a cui ha col tempo si è voluto rinunciare.
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