venerdì 25 novembre 2016
Maria Margherita Scotti, giovane storica già autrice di un appassionante ricostruzione del legame tra «intellettuali, Partito socialista italiano e organizzazione della cultura» negli anni cinquanta del Novecento (Da sinistra, Ediesse 2011), sta lavorando da tempo a una grande biografia di Giovanni Pirelli, e ha intanto raccolto gli interventi di un convegno del 2014 su Giovanni Pirelli intellettuale del Novecento ( Mimesis). Perché Giovanni Pirelli? Perché egli ha avuto una vita significativa e importante, densa di piccole e grandi imprese personali e di gruppo. Per cominciare, egli era il primogenito di Alberto grande industriale della gomma, ma rinunciò a essere erede della grande impresa di famiglia. La corrispondenza col padre è stata raccolta (Legami e conflitti 1938-1943, Archinto, 1990) e narra di una vicinanza e di un distacco, un confronto densissimo. Giovane ufficiale, fu la guerra a fargli da maestra e ad allontanarlo dal fascismo, a farlo diventare partigiano, a rompere con la famiglia, a vivere una vita bohème a Roma e a definire faticosamente una propria identità di storico e di scrittore (raccolse con Malvezzi le Lettere della Resistenza italiana e di quella europea, due libri imprescindibili), di sostenitore di gruppi e iniziative culturali e politiche di alte ambizioni (l'Einaudi, le Edizioni del Gallo, l'Istituto Ernesto De Martino, le imprese musicali di Efrikian e di Nono, i Quaderni Rossi di Panzieri eccetera) e soprattutto la scoperta della rivoluzione algerina e dell'opera di Fanon, che sosterrà in cento modi, anche economici perché era pur sempre un Pirelli e godeva di una certa agiatezza. Le sue opere più importanti sono legate all'esperienza di vita e hanno un'importanza storica grandissima. Ma se ne parlo è perché di Giovanni sono stato amico, come di sua sorella Elena Brambilla, cattolica attivissima, amica di don Milani e di tanti altri personaggi significativi della cultura religiosa più densa di legami col mondo contemporaneo. Si ha nostalgia di questi personaggi, nella Milano di oggi, perché è scomparsa quella borghesia di stampo manzoniano (e con sottofondo cattaneano, e verriano) che tanto ha fatto per la città e per la nazione. E si ha nostalgia del fervore e della ricchezza etica e umana di certi suoi rappresentanti. C'era una volta una borghesia avanzata e aperta e attivissima, ma oggi?
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