mercoledì 6 aprile 2005
Trovo una grande pace nel pensare a quando il Signore mi chiamerà. Mi sale spesso alle labbra, senza alcuna vena di tristezza, una preghiera che il sacerdote recita dopo la celebrazione eucaristica: «Nell'ora della mia morte chiamami». È la preghiera della speranza cristiana che nulla toglie alla letizia dell'ora presente, mentre consegna il futuro alla custodia della divina bontà. Queste parole scriveva nel 1999 Giovanni Paolo II rivolgendo agli anziani una lettera molto tenera e appassionata. Lui, che aveva amato tanto i giovani e aveva saputo vivere con intensità anche la «letizia dell'ora presente», non aveva temuto di guardare con «grande pace» anche alla frontiera estrema della vita, quel confine che egli ha ormai varcato. A sei anni di distanza, egli già intravedeva quel momento e lo rappresentava come una "vocazione". Infatti, citando una frase dell'antica preghiera dell'Anima Christi da alcuni attribuita a s. Tommaso d'Aquino e tanto cara a s. Ignazio di Loyola, il Papa sentiva che in quell'istante una voce l'avrebbe di nuovo chiamato. Come era accaduto agli inizi dell'esistenza terrena, così anche alle soglie della vita eterna Dio ci chiama per nome indicandoci la nuova strada da imboccare. È ciò che già aveva intuito il Salmista con parole che il Papa aveva commentato durante le sue catechesi dedicate ai Salmi dei Vespri: «Tu non abbandonerai la mia vita nel sepolcro, né lascerai che il tuo santo veda la corruzione. Mi indicherai il sentiero della vita, gioia piena alla tua presenza, dolcezza senza fine alla tua destra» (Salmo 15/16, 10-11). È con questa fiducia che egli ha varcato la soglia della morte, una soglia che s'affaccia sulla speranza e sulla luce.
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