martedì 27 dicembre 2005
Colui che noi abbiamo sfuggito, ci ha seguito. Colui che avevamo perso, si è riunito a noi!/ Ci ha raggiunti nel grembo della nostra miseria e si è umiliato nelle nostre mani./ Abita nel vino dei calici e nel pane bianco degli altari./ Tu, o Chiesa, lo stendi sulle nostre labbra affamate./ Tu lo sprofondi nel cuore della nostra solitudine, per dischiuderla come una porta disserrata. «Ci ha raggiunti nel grembo della nostra miseria»: canta, così, in uno dei suoi Inni alla Chiesa Gertrud von Le Fort (1876-1971), la scrittrice tedesca protestante convertitasi a Roma al cattolicesimo. In queste parole si celebra il mistero dell'Incarnazione che è nel cuore del Vangelo di Giovanni, l'evangelista che oggi la liturgia festeggia: «Il Verbo si è fatto carne e pose la sua tenda in mezzo a noi» (1, 14). Anzi, la poetessa vede la continuazione vivente dell'Incarnazione nell'Eucaristia: «Abita nel vino dei calici e nel pane bianco degli altari». E ancora: l'Incarnazione continua nella Chiesa, il corpo mistico di Cristo, che rende presente nel tempo e nello spazio l'opera di salvezza del suo Signore. È suggestiva l'immagine finale nella quale si raffigura Cristo mentre «sprofonda nel cuore della nostra solitudine». L'umanità, pur immersa nelle cose e nelle distrazioni, sente affiorare nell'anima un senso di solitudine, di insoddisfazione, di inquietudine. Ecco, allora, quel viandante misterioso che s'accosta a noi durante il nostro cammino, com'era accaduto in quel pomeriggio ai discepoli di Emmaus. È una presenza discreta e segreta ma non spettrale
o eterea. Le ultime parole del Cristo risorto sono state: «Io sono con voi tutti i giorni sino alla fine del mondo» (Matteo 28, 20).
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