domenica 29 aprile 2018
Non posso continuare senza aver parlato della gomma da masticare. Presso gli Zego essa costituisce la pietra angolare che tiene insieme tutto l'edificio sociale e religioso. Rinnovata sette volte al giorno nella forma di un confetto rotondo, non è considerata come un'entità divisa secondo i luoghi e i tempi. In verità c'è una sola gomma da masticare. Goez, il Tre-in-Uno, l'ha data agli uomini affinché ciascuno potesse avere l'identico in bocca. Un mito racconta che gli antenati degli Zego non smettevano di interrogare Goez sul senso della vita per poi litigare sull'interpretazione delle sue risposte. Allora Goez esclamò: «D'ora in poi masticherete le parole!». Spaccò la corteccia di un albero, fece palline con la sua resina e gliele ficcò in bocca. Da quel giorno fu per loro estremamente difficile sollevare anche il più piccolo reclamo. La gomma da masticare fu da allora come un bavaglio interiore, una risposta silenziosa: «Perfetta concrezione dell'ineffabile», ho sentito dire, e «segno efficace dell'unità». Di fatto non è immediatamente accessibile pronunciare all'unisono affermazioni tanto astratte per porsi al di là dell'opinione – ci si riesce solo con un décalage e il sospetto di una recitazione meccanica è legittimo. Masticare con lo stesso ritmo la stessa sostanza corrisponde di più all'ideale di una comunicazione perfetta. Si sbaglierebbe a credere che si tratta di un buon mezzo per eludere ogni questione profonda. A che servono, dopo tutto, le «questioni profonde» se come Socrate si deve concludere: «So di non sapere nulla» o come san Paolo: Non sappiamo pregare? Davanti alle recriminazioni degli ebrei il Signore stesso non ha forse tagliato corto ingozzandoli di manna e di quaglie finché gli escano dalle narici? Dopo avere conosciuto le urla dei Mongri o le chiacchiere dei Gracidi, dopo aver riletto le pagine che ho scritto e i sermoni che ho pronunciato, ci si può sinceramente chiedere se il chewing-gum non sia la soluzione migliore. Ricordai una discussione che ebbi, o piuttosto che non ebbi, con mio padre, quando ero ragazzino. Eravamo in automobile e mi aveva dato una gomma da masticare simile a quella che provocava gli impressionanti movimenti rotativi della sua larga mandibola (mamma gli rimproverava spesso il suo alito cattivo): Papà, di cosa è fatto questo chewing-gum? La pubblicità del nostro, all'epoca, introduceva in un mondo di freschezza dove tutta una bella gioventù si trastullava vicino a una cascata, sciorinando sorrisi scintillanti tra profumi di menta. Papà intuiva in me questa associazione tra il chewing-gum e una armonia vivente. Non stavamo infatti avendo un momento insieme, papà ed io? Non stava facendomi entrare nel mondo degli adulti che masticano Freedent senza zucchero? Questa cosa mi dava più piacere della gomma stessa… Mi guardò con imbarazzo, ma non per molto, perché bisognava fare attenzione alla strada. Poteva forse enumerarmi l'elenco degli ingredienti del nostro momento di complicità: acesulfame k, biossido di titanio, gomma arabica e414, anti-agglomerante e170, agente di rivestimento e903, antiossidante e321? Poteva spiegarmi che la “gomma di base”, un copolimero isobutilene-isoprene derivato del petrolio, era prodotta dalla stessa Goodyear che aveva fabbricato gli pneumatici della nostra automobile? No, evidentemente, era meglio continuare a masticare in silenzio. Gli Zego hanno su di noi il vantaggio di essere dei veri chicleros. Adoperano il lattice naturale estratto da una certa varietà di sapotacea. Ogni trinomio ha il suo albero. Con gesti scrupolosamente coreografati, il trio si arrampica con una cintura di corde, incide la corteccia in tre punti, raccoglie in un secchio di metallo chiaro il succo bianco che trasuda. Il rituale prosegue attorno a un calderone: si fa bollire il chiclé fino a che la sua consistenza permette di colarlo nello stampo per confetti. Il tutto si compie pronunciando le “preghiere esemplari”. Non si tratta di elevare la voce, ma di masticare un vecchio chewing-gum coriaceo, già parecchie volte maciullato dai molari dei due alter ego. Due immagini mi vennero in mente: quella di vecchie parrocchiane che hanno appena ricevuto l'ostia e quella di tibetani che azionano le loro ruote della preghiera. Quando è di prima mano – o “di prima mascella” per essere precisi – il chiclé degli Zego ha un gusto di fragola e possiede un effetto narcotico (me ne sono reso conto quando
me ne hanno ficcato uno in bocca per far tacere le mie domande a proposito di Ugo). Ha anche proprietà analoghe alla palla di gomma giocattolo per cani. Questo ultimo aspetto lo deduco da me. Certo il proverbio dice: «Chi si assomiglia si piglia». Ma è anche vero che una somiglianza eccessiva genera rivalità. Di fronte a un sosia viene abbastanza rapidamente l'idea che uno sia di troppo. Qualcosa cambia se i sosia sono tre? Forse. Ma può anche darsi che l'inimicizia diventi più sorda ma non meno amara e i narcotici non bastino. Bisogna mordere. E siccome non si osa mordere apertamente il proprio simile ipocrita, perché si è troppo imbevuti dell'ideologia dell'amore che abolisce i conflitti, si morde una palla di gomma, si trova sollievo in quella elasticità che permette di continuamente affondare i denti.
«Avete figli?». La domanda risuonò stranamente ai miei stessi orecchi: era quella di Ugo, alcune settimane prima. Parlavo dunque come lui! Mi preoccupavo come lui, io che avevo provato a distruggerlo! Me ne accorsi anche dal malessere con cui reagirono i miei tre interlocutori, simile a quello di Tâ, il nostro Gracide. I bambini potevano solamente turbare la loro uguaglianza come turbava il lirismo di Tâ: hanno altezze differenti, propositi incontrollabili, comportamenti istintivi… «Finché non hanno la forma dello Zego – mi spiegarono infine – vivono separati, nell'apprendistato della santa armonia. I meno giovani lavorano per noi nei campi per scoprire il dono di se. I deformi, i troppo piccoli, i troppo grandi, ma anche i troppo vecchi, visibilmente non sono, o non sono più, fatti per la civiltà dell'amore. Affondiamo loro nella gola il “segno efficace dell'unità” fino a che…». Non hanno il tempo di finire. Di colpo è il panico. Grida si levano. Alcuni trinomi si sfasciano, a cominciare dal mio i cui membri fuggono in tre direzioni. Certuni in preda al panico si strozzano col chewing-gum. Altri lo sputano decisamente per terra. L'“unanimità liturgica” finisce in mille pezzi. Sulla piazza dove prima tutti si dedicavano un po' troppo pacificamente a una specie di tai-chi-chuan, cinque Zego erano stati messi al tappeto. Si stavano rialzavano penosamente strofinandosi la mandibola. Quello che li aveva rudemente schiaffeggiati era in fuga… I miei occhi si riempirono di lacrime di gioia. No, non c'era dubbio! Quella batosta portava una firma tutta evangelica! Oh! Grazie, mio Dio, grazie! Ugo non era morto! Ugo era vivo! Non ero riuscito in nulla, nemmeno a essere un assassino!
(34, continua. Traduzione di Ugo Moschella)
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