domenica 22 maggio 2011
Capisco perché i dieci comandamenti sono tanto chiari e privi di ambiguità: non furono redatti da un'assemblea.

Uno dei padri del deserto egiziano, abba Sisoes, un giorno si lasciò sfuggire questa considerazione: «Se Dio avesse chiesto il parere ai teologi della scuola di Alessandria d'Egitto per elaborare il Decalogo, noi oggi invece di dieci avremmo mille comandamenti». Qualcosa del genere ci ripete un uomo politico tedesco ormai entrato nella storia, Konrad Adenauer (1876-1967), con questa sua battuta che colpisce un vizio non esclusivo della politica, ma ben attestato anche nella sfera ecclesiale. Pensiamo alla verbosità di certe assemblee parrocchiali, alla ridondanza di alcune preghiere dei fedeli, all'inconsistenza prolissa di non poche prediche. Davanti a noi stanno, invece, quelle «dieci parole», siglate dal dito di Dio, come dice la Bibbia, un esempio di limpidità, di concisione e di precisione impositiva.
È giusto, allora, operare una purificazione della parola, dei pensieri, della riflessione per giungere all'essenziale. È necessario ritornare al cuore dei problemi, alla sostanza della fede, ai principi fondamentali della morale. È indispensabile riproporre i temi «ultimi», come morte, vita e oltrevita, bene e male, sofferenza, giustizia e verità, amore e bellezza, senza attardarci su tante questioni «penultime» che sono marginali e dispersive. Lo sguardo, però, deve allargarsi anche alla vita quotidiana profana, ove assistiamo spesso al trionfo del chiacchiericcio, dell'eccesso, dell'esasperazione verbale che è specchio di un'anima superficiale e colma di banalità. Men of few words are the best men, diceva lapidariamente l'Enrico V di Shakespeare: sì, chi è di poche ma sostanziose parole rivela una ricchezza interiore.
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