domenica 15 ottobre 2006
Mi manca la fede e, quindi, non potrò mai essere un uomo felice, perché un uomo felice non può avere il timore che la propria vita sia solo un vagare insensato verso una morte certa" Non ho ereditato il ben celato furore dello scettico, il gusto del deserto caro al razionalista o l'ardente innocenza dell'ateo. Non oso, allora, gettare pietre sulla donna che crede in cose di cui dubito. Aveva solo 31 anni ed era già al culmine del successo; eppure il 4 novembre 1954 si era tolto la vita. Stiamo parlando di uno dei maggiori scrittori svedesi, Stig Dagerman, fatto conoscere in Italia dall'editrice Iperborea. È appunto a uno dei suoi libri, Il nostro bisogno di consolazione, che abbiamo oggi attinto questa straordinaria confessione che potrebbe essere sottoscritta anche da non poche persone serie e sincere ai nostri giorni. La loro amarezza profonda nasce appunto dall'assenza di una fede e questo vuoto diventa progressivamente come un
buco nero che ti aspira e ti fa disperare. Il mistero della fede, che è al tempo stesso dono divino e ricerca umana, lascia indifferenti solo le persone superficiali che si accontentano dell'esteriorità, cercando di seppellire sotto una coltre di cose e di piaceri l'anelito intimo del loro spirito. Chi, invece, come Dagerman, sa quanto sia decisivo trovare un senso trascendente alla vita non si isola in uno scetticismo ironico e freddo né si accontenta di teorie atee e soprattutto non condanna la persona semplice e serena che crede. La sua è una testimonianza che vale anche per noi credenti: è necessario essere in ricerca, con l'inquietudine della domanda, l'attesa di un incontro, senza rassegnarsi al deserto e al «vagare insensato».
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