giovedì 24 novembre 2005
Come il sale si sciolse nell'oceano, così io fui inghiottito nel mare di Dio:/ non più fede, non più incredulità; non più dubbi, non più certezze./ All'improvviso nel mio cuore una stella brillò, chiara e luminosa./ Tutti i soli del cielo svanirono in quella luce stellare. È da un po' di tempo che non riservo spazio alla poesia, che pure è una delle mie letture notturne preferite. Qualche notte fa, con un cielo stellato e gelido, ho ripreso tra le mani alcune poesie del Poema spirituale del grande poeta mistico persiano Gialal ed-din Rumi (1207-1273), il fondatore dei dervisci danzanti di Konya in Turchia. Ho visitato tante volte il suo tekké o convento musulmano e ho letto i suoi versi e ascoltato le musiche che li accompagnano. L'esperienza che egli vuole descrivere nelle frasi che ho citato è quella mistica. È in pratica ciò che s. Paolo esprimeva così ai Galati: «Non sono più io che vivo ma è Cristo che vive in me» (2, 20). Le immagini di Rumi sono emblematiche. Da un lato, c'è il mare e il sale che in esso si scioglie. Famosa è la parabola indiana della bambola di sale che vuole conoscere l'oceano e che, appena vi entra, sente di diventare essa stessa oceano. D'altro lato, c'è la luce stellare, dolce e delicata, nella quale ci si perde, una luce differente da quella imperiosa e bruciante del sole. È per questo che Dio è cantato dal cristianesimo come luce, ma sono "luce del mondo" anche i cristiani. L'esperienza mistica altro non è che la fede al suo apice, quando l'abbraccio tra Dio e la creatura è pieno, l'intimità è assoluta e la pace e la quiete interiore sono raggiunte.
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