domenica 14 ottobre 2007
La verità era uno specchio che, cadendo, si ruppe. Ciascuno ne prese un pezzo e, vedendovi riflessa la propria immagine, credette di possedere l'intera verità.
Bella è questa immagine che uno dei grandi mistici musulmani, Rûmî, contemporaneo di Dante e vissuto a Konya in Turchia, ha lasciato nei suoi scritti poetici. Ma ancor più suggestiva è la lezione sottesa. Da un lato, essa ci ricorda che la verità ha un'unità sorgiva: è una realtà che ci trascende e supera. D'altro lato, essa può manifestarsi in molte forme, attraverso aspetti e profili differenti. Gandhi usava, al riguardo, un'altra immagine: la verità è come il diamante, è una sola ma ha molte facce. Noi riusciamo, dal nostro angolo di visuale, a vedere solo una di queste facce. Guai se ci illudiamo di possedere integralmente tutta la pietra preziosa del vero.
È questo l'atteggiamento che purtroppo spesso domina ai nostri giorni, quando non si ascolta mai l'altro con le sue ragioni, quando si grida la propria convinzione in modo prevaricatore, quando non si ha rispetto della pur piccola particella di verità che ciascuno custodisce. Detto questo, vorrei però sottolineare che le due immagini citate - lo specchio e il diamante - non sono del tutto perfette perché fanno pensare al vero come a qualcosa di limpido ma gelido. In realtà, la sua natura è quella di essere vivo e caldo, tant'è vero che Cristo ammoniva che «la verità fa liberi»: essa è personale, è vitale ed efficace. Uno scrittore austriaco, Musil, la comparava piuttosto a un mare in cui immergersi. È, allora, necessario ritornare a far palpitare attorno a noi e in noi la vitalità della verità, in una ricerca appassionata e sincera.
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