domenica 22 ottobre 2006
Uno sconosciuto è il mio amico, uno che io non conosco./ Uno sconosciuto lontano lontano./ Per lui il mio cuore è pieno di nostalgia./ Perché egli non è presso di me./ Perché forse non esiste affatto?/ Chi sei tu che colmi il mio cuore della tua assenza?/ Che colmi tutta la terra della tua assenza? Dovremmo scriverlo con la maiuscola: questo Sconosciuto, questo Assente misterioso che non riesci a incontrare sulle strade della tua vita, che non puoi abbracciare e che pure ti riempie il cuore di nostalgia è Dio. Questi bellissimi versi dello scrittore svedese Pär Lagerkvist, Nobel 1951, morto a Stoccolma nel 1974, si trasformano così in una preghiera al Dio ignoto, un po' come avevano testimoniato a s. Paolo gli ateniesi, erigendo un'ara proprio a questo Dio sconosciuto (Atti 17, 23). Egli è «lontano lontano», trascendente, impenetrabile, arcano. Eppure ne avverti sorprendentemente il palpito e soprattutto
ne senti con ansia la mancanza, ne attendi l'irruzione. È, questa, un'esperienza ben più diffusa di quanto si creda, tra credenti e agnostici. Sì, perché anche chi crede vive momenti in cui Dio è assente e muto, remoto in un cielo a noi precluso: sono i tre giorni dell'ascesa al monte Moria che Abramo vive con la morte nel cuore; sono i lunghi tempi dell'urlo sfiancante di Giobbe; sono le ore della crocifissione dello stesso Cristo, vero Dio che è anche vero uomo e che perciò sperimenta il silenzio del Padre. Eppure, come ha scritto un teologo, quella è un'«Assenza presente»: Lagerkvist sa che quell'assenza che inonda il cuore e il mondo è già una presenza che scuote, che fa vibrare e che permette di sperare in una rivelazione, in un abbraccio.
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