sabato 7 luglio 2018
Per 25 anni, dal 1987 al 2012, in questi stessi giorni in Vaticano era tempo di fare le valigie. Sospese le udienze pubbliche e private, stavano infatti per iniziare quelle che sarebbero – ed effettivamente sono – passate alla storia con il nome, improprio, di “vacanze papali”; ovvero quel periodo di riposo che, da Giovanni Paolo II a papa Ratzinger, i pontefici hanno trascorso tra la Valle d'Aosta e il Cadore, con le sole eccezioni del 2002 (quando il soggiorno alpino saltò per la concomitanza della Giornata della Gioventù in Canada) e del 2008, quando Benedetto XVI volle tornare nella sua amata Bressanone, dove affondavano le radici materne della sua famiglia e dove era solito rifugiarsi da cardinale. A “inventare” questa tradizione erano stati un gruppo di giovani dell'Azione cattolica della diocesi di Treviso che, conoscendo come tutti la passione per la montagna di Papa Wojtyla, attraverso il loro vescovo proposero a Giovanni Paolo II di utilizzare per qualche giorno di riposo una villetta di proprietà della diocesi vicino a Lorenzago di Cadore; non fu certamente una decisione facile da prendere, ma alla fine fu deciso per il sì, e il resto è storia.
A conferma di quanto improprio sia, per questi periodi trascorsi dai due pontefici in montagna, il termine “vacanza” (almeno nell'accezione che comunemente si dà a questa parola), c'è il fatto che proprio in queste occasioni sono state scritte alcune indimenticabili e fondamentali pagine di Magistero. E non si parla solamente di quello che oggi viene comunemente definito “magistero delle vacanze”, su come il tempo del riposo può e deve essere un tempo per una vera rigenerazione fisica e soprattutto spirituale. Si parla anche, per esempio, di come proprio ripartendo dalla Valle d'Aosta verso Roma, all'inizio degli anni 90 papa Wojtyla, le mani appoggiate sulle spalle di una bimba di quattro anni (solo per la cronaca, la mia prima figlia) enunciò il principio del dovere di ingerenza umanitaria in situazioni come quelle che si stavano vivendo nei Balcani; così come, sempre dalla Val d'Aosta, all'indomani degli attentati di Londra del 2005 Benedetto XVI spiegò perché era, ed è, sbagliato definire quegli atti come prodotto di un “terrorismo islamico”.
Si parla, insomma, di vere e proprie pagine di storia contemporanea, di cui troppo presto abbiamo forse dimenticato l'esistenza. Pagine alle quali papa Francesco, proprio con il suo sottrarsi a questa tradizione lunga un quarto di secolo, e la sua insistenza per restare in Vaticano anche l'estate, ha aggiunto qualcosa di altrettanto importante e profondo. Perché così come Wojtyla e Ratzinger, nello scegliere di trascorrere qualche giorno in montagna sono stati coerenti con la propria storia personale facendo quello che avevano sempre fatto per “ricaricare le batterie”, almeno un po', lo stesso ha fatto e fa Bergoglio, che da arcivescovo della capitale argentina (e anche da prima) preferiva trascorrere le estati a casa sua. Proprio come fa oggi, da Papa. Non per una sua qualche personale urgenza stakanovista, né tanto meno per sconfessare, si fa per dire, i suoi predecessori, ma solo per essere, come loro, pienamente se stesso. Così, sospese le udienze generali fino ad agosto e le Messe mattutine a Santa Marta fino a settembre, nelle prossime settimane seguirà un programma ridotto e avrà un poco più di tempo per riposare. Come ha sempre fatto, e come piace a lui. Perché, come ha ripetuto innumerevoli volte, «che ci volete fare, io sono fatto così».
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