martedì 24 ottobre 2006
Il cuore è diviso in due grandi camere: in una abita il Bene, nell'altra il Male o, in altre parole, da una parte c'è il diavolo e dall'altra un angelo. Quando essi entrano in contesa - cosa molto frequente - nell'uomo vi è lotta ed egli sente il suo cuore quasi spezzarsi. È, questa, la confessione di un personaggio di un dramma minore (Glückspeter) dello scrittore svedese August Strindberg (1849-1912), un autore tormentato fin dalle sue origini (non riuscì mai a superare il senso di inferiorità della sua nascita da una domestica, tanto da intitolare la sua autobiografia Il figlio della serva). Queste parole dicono, comunque, una verità inequivocabile: dentro di noi ci sono effettivamente due camere con la porta comunicante. Dalla sua stanza il Bene lancia il suo appello, ma dall'altra subito gli risponde il Male con voce allettante. In noi s'aggrovigliano pulsioni antitetiche e la libertà sta proprio nell'assegnare all'uno o all'altro la prevalenza. Già s. Paolo sentiva il dramma di questa lacerazione e della fragilità umana nelle scelte: «Trovo in me questa legge: quando voglio fare il bene, il male è accanto a me». Ed è per questo che «non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio» (Romani 7, 19.21). È un po' la storia di tutti noi, scissi interiormente tra l'angelico e il diabolico che stanno nelle due camere dell'anima. Strindberg
si ferma scoraggiato di fronte a questa contesa che spesso sembra spezzare il cuore. La sua è la convinzione che l'uomo sia solo e abbandonato a se stesso, senza nessuna mano che lo sostenga. È qui la differenza rispetto a Paolo che si apriva alla fiducia esclamando: «Siano rese grazie a Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore» e liberatore (7, 25).
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