venerdì 15 novembre 2019
Il corridoio è lungo e oscuro. Erano sempre così nelle case milanesi prima della svolta-loft: boiserie, libri impolverati, vecchio legno scricchiolante a pavimento.
Lo studio della signora è in fondo a destra, il disordine della scrivania, la porta finestra socchiusa da cui arrivano voci di rondini e bambini. Un'opima e chiassosa ragazza peruviana ci serve dell'orribile tè.
Sprofondate in poltrone di cuoio elegantemente logoro parliamo di letteratura, di scrittura femminile, di storia. Sembra una vecchia bambina, una molletta rosa le trattiene a lato i capelli fini. Un momentaneo fervore le accende il viso mentre spulcia tra le sue carte alla ricerca di reperti. Scrittrice piuttosto nota, vive in solitudine e raramente apre casa. Dovrei sentirmi onorata, ma sono a disagio. La sto torturando, lo so. Parliamo di Woolf, di Austen, mi racconta di Muriel e della sua devota Pen. Vedo dai suoi occhi che vorrebbe parlare d'altro. Di come si sente. Del silenzio dei suoi pomeriggi. Delle sue paure.
Le stringo la mano e mi congedo. Scendo insieme alla giovane peruviana, un'amica la aspetta davanti al portone. Sono entrambe di ottimo umore, è venerdì sera, se baila. Alzo gli occhi e vedo che la signora ci sta guardando dalla finestra, appena un passo indietro, le braccia a peso morto lungo i fianchi. Cercando di capire come sia possibile, semplicemente vivere.
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