venerdì 15 aprile 2011
La nobiltà dello spirito, rispetto a quella tradizionale del sangue, ha il vantaggio che uno se la può conferire da solo.

Lui che era nato a Klagenfurt in Austria nel 1880 e aveva studiato e vissuto in Germania, col prevalere di Hitler, aveva deciso di lasciare Berlino e di riparare in Svizzera, e a Ginevra proprio oggi Robert Musil si spegneva nel 1942. Là aveva condotto un'esistenza povera e la morte l'aveva colto all'improvviso mentre stava lavorando al suo capolavoro incompiuto, quell'Uomo senza qualità che spesso rimane altrettanto incompiuto nella lettura di molti perché è testo arduo, senza una trama netta. È un'opera che " a mio avviso " potrebbe essere descritta con le parole del suo straordinario ma inconcludente protagonista, Ulrich: «Certi pensieri sono come corde che si attorcigliano in avvolgimenti infiniti intorno alle braccia e alle gambe».
Oggi, però, usciamo da queste spirali e ci affidiamo a uno dei Frammenti postumi di Musil che brillano di luce propria. Vi ricordate l'esilarante battuta di Totò: «Signori si nasce. E io lo nacqui!»? In realtà, non si nasce né signori né raffinati né insigni, lo si diventa con un serio esercizio. Si può ereditare per nascita di essere conti o marchesi, blasonati e patrizi: frutto di condizioni meramente estrinseche è appartenere alla classe aristocratica o plebea. La «nobiltà dello spirito», come ammonisce Musil, è invece l'unica che ci conferiamo da soli con un impegno severo, anche nei piccoli comportamenti. A quest'ultimo proposito mi viene in mente una battuta di un altro scrittore che ammiro, Anton Cechov: «La signorilità vera non sta nel non versare la salsa sulla tovaglia, ma nel non mostrare di accorgersi se un altro lo fa». Il contegno, l'educazione, il rispetto sono valori che rivelano una classe che non è assegnata dai documenti anagrafici, ma che fiorisce da una finezza umana profonda.
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