giovedì 29 dicembre 2016
«Suo padre aveva voluto salvarsi la vita. Non si era rassegnato a lasciarla andare, quell'unica vita. Non si era concesso tutto intero; aveva tenuto in serbo una parte di sé; era rimasto diffidente, reticente, egoista, in guerra, in pace, e in amore. "Non farò come lui, io", disse Yves fra sé. "Chi vuole salvarsi la vita, la perderà. Questa mia vita, la offro. La getto via. Saprò sacrificarmi, io, se occorre". Una strana, profetica tristezza si impadronì di lui». Sono le parole che medita fra sé e sé uno dei protagonisti del romanzo I falò dell'autunno, l'ultimo scritto da Irène Némirovsky prima di essere deportata e morire ad Auschwitz, nell'estate del 1942. Nello stesso periodo stava portando a termine Suite francese, l'opera dedicata allo sbandamento dei francesi all'arrivo dei nazisti che non avrebbe mai completato e il marito Michel Epstein avrebbe affidato in una valigia alle due figliolette prima di essere anch'egli arrestato, destinato alla stessa sorte di Irène. Solo nel 2004, come noto, il manoscritto che avrebbe fatto riscoprire alla Francia e al mondo intero la scrittrice è venuto alla luce, così come la sua storia e quella delle figlie, salvatesi miracolosamente prima grazie a una maestra poi a una conoscente in contatto con la Resistenza, che avrebbe fatto loro attraversare clandestinamente il Paese, dalla Borgogna a Bordeaux. Qui rimarranno nascoste in un convento di suore, poi in alcune cantine, fino alla Liberazione. Sempre trascinandosi dietro quella valigia che conteneva, oltre al quaderno in cui erano scritte le pagine di Suite francese, fotografie e altri documenti dei genitori. Invano alla fine della guerra, rientrate a Parigi, Denise ed Elisabeth busseranno alla casa della nonna per chiedere aiuto: ella le respingerà senza nemmeno aprire la porta del suo appartamento nella capitale («esistono gli orfanotrofi e i sanatori», sussurrò sentendo che una di esse tossiva). Ancora, invano si recarono per giorni e giorni sui binari della Gare de l'Est, dove arrivavano i sopravvissuti ai lager, o all'hotel Lutetia, che accoglieva a quel tempo i deportati, con un cartello che portava scritto i loro nomi. Solo più tardi seppero la verità circa la fine dei loro genitori, entrambi portati nelle camere a gas pochi giorni dopo l'arrivo ad Auschwitz.
Se qui preferiamo segnalare I falò dell'autunno, pubblicato in Francia nel 1957 e in Italia da Adelphi nel 2012, è perché esso esprime con grande lucidità da parte dell'autrice «la consapevolezza della catastrofe» imminente. In quegli ultimi mesi Irène faceva i conti col proprio destino di ebrea (anche se si era fatta cristiana nel 1939, assieme alle bambine), dopo essersi a lungo illusa: fino alla fine ebbe fiducia negli uomini e in particolare nei francesi, i quali l'avevano accolta in fuga dalla Russia bolscevica, e non seguì il consiglio degli amici che l'invitavano a fuggire in Svizzera. Il suo destino rammenta quello di Walter Benjamin, il più grande e poliedrico intellettuale dell' epoca, morto a pochi passi dalla salvezza.
I falò dell'autunno racconta il fallimento di una generazione fra la prima e la seconda guerra mondiale. Il protagonista, Bernard, tornato dal fronte, passa con disinvoltura dall'oscura realtà fatta di «granate, siluri e fuoco» a una vita civile basata su affari loschi nella più totale assenza di scrupoli. Smarrito ogni senso del dovere rispetto alla famiglia e alla patria, finisce non solo per tradire la moglie Thérèse ma anche la sua nazione, mettendo in piedi con altri personaggi loschi del sottobosco politico un traffico di pezzi di ricambio di aeroplani provenienti dagli Usa ma in realtà inservibili, anzi difettosi. E proprio suo figlio Yves ne subirà le conseguenze, perdendo la vita durante un'esercitazione aerea all'inizio del secondo conflitto mondiale. Le sue parole citate all'inizio, col pensiero rivolto al padre Bernard, suonano come un atto d'accusa della Némirovsky verso il regime compromesso di Vichy, verso «quella cricca nefasta che per inerzia, cecità o consapevole slealtà, porta la Francia alla rovina». Lei stessa si sentiva tradita, ormai senza più speranza di salvarsi.
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