mercoledì 17 maggio 2006
Esiste un uccello detto upupa. I figli, quando vedono i genitori invecchiati, strappano loro le vecchie ali, leccano loro gli occhi e scaldano i genitori sotto le proprie ali e quasi li covano, così da farli ridiventare giovani. Allora dicono ai loro genitori: «Come voi ci avete covati e vi siete dati grande pena per farci crescere, così facciamo anche noi nei vostri confronti». Nel II sec. un greco di Alessandria d'Egitto elaborò una galleria di 50 ritratti letterari di animali, spesso con annotazioni fantasiose. L'opera fu tradotta in latino e in varie lingue antiche orientali e divenne popolarissima nel Medioevo col titolo Fisiologo. Non di rado quei profili hanno finalità morali, come nel caso dell'upupa che sopra abbiamo citato. Il tema è quello dell'amore filiale e ha come spunto di partenza l'esperienza del vecchio che sembra regredire allo stato infantile, e quindi l'invertirsi dei ruoli. Lo vedo anch'io ogni volta che passo da casa mia: le mie sorelle coccolano ormai il mio vecchissimo papà con tutte le premure, i vezzeggiativi e le tenerezze che potrebbero avere per un figlio piccolo. È, questo, un segno molto bello di amore che tutti i figli dovrebbero attestare nei confronti di chi li ha generati e allevati. Il libro biblico del Siracide ha un'intera pagina su questo argomento che sarebbe tutta da meditare (3, 1-16). Essa ha come vertice la dichiarazione secondo la quale «la pietà verso il padre è computata a sconto dei peccati. Chi abbandona il padre è come un bestemmiatore e chi insulta la madre è maledetto dal Signore». Un monito che dovrebbe risuonare forte ai nostri giorni quando si relegano genitori (forse per necessità familiari comprensibili) in ospizi, ma poi li si dimentica là senza visite e senza tenerezza (e questo è vergognoso).
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