sabato 30 aprile 2005
Per credere in Dio bisogna ritornare/ col cuore di piccoli fanciulli,/ e poi pregare; pure se la fame,/ tenendovi per mano, zufola sorda e tartaglia con la morte,/ quando l"odore caldo del pane/ sveglia le strade cittadine.
 
C"è un ricordo che mi lascia sempre una sensazione fisica e non solo una stimmata di nostalgia: quand"ero ragazzino, la fragranza del pane che esalava d"estate dal negozio del prestinaio sulla strada che conduceva alla chiesa nel paese di mia madre, mentre all"alba (allora la Messa era alle sei del mattino) con mio nonno mi avviavo a pregare. Certo, il desiderio di quel pane fresco e caldo era forte, eppure si rinunciava per mantenere il digiuno e accedere a un altro pane. Questa immagine che intreccia fede e vita quotidiana affiora anche nei versi di Quasimodo, il Nobel italiano della letteratura del 1959, che ebbe con la religione un rapporto complesso e non sempre facile.Ma l"attenzione cade sul tema centrale, quello del «credere in Dio». Il poeta siciliano ci rievoca una verità profondamente biblica: per essere credenti genuini bisogna tornare bambini oppure essere poveri, come il mendicante che sente «l"odore caldo del pane», ma non può sfamarsi. Chi non ricorda «il bambino svezzato in braccio a sua madre» del Salmo 131,  canto dell"infanzia spirituale? Chi non conosce la frase di Gesù: «Se non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli»? Chi non ha imparato, leggendo la Bibbia, che "anawîm cioè "poveri", è la definizione del vero fedele? Chi non ha nella mente la beatitudine di Cristo sui «poveri in spirito ai quali appartiene il regno dei cieli»? Ecco la strada della fede autentica da imboccare con coraggio e serenità.
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