domenica 12 giugno 2005
Anche l'embrione i tuoi occhi l'hanno visto e nel tuo libro erano già tutti scritti i giorni che furono formati quando ancora non ne esisteva uno" Ti ringrazio perché con atti prodigiosi mi hai fatto mirabile: meravigliose sono le tue opere!
Così cantava l'antico poeta ebreo del Salmo 139 parlando delle origini della vita: l'«embrione» è in ebraico espresso con un vocabolo, golmî, che evoca qualcosa di arrotolato a forma di bolla o di cilindro. Su quel nucleo minimo si fissano già gli occhi del Creatore; anzi, con un'intuizione di grande potenza poetica e religiosa, in quella realtà minima Dio legge già tutta la storia futura della creatura che da essa sboccerà. Come in tutte le grandi culture e religioni, è fondamentale il principio di causalità e di finalità: non siamo di fronte a eventi simili a compartimenti stagni e isolati tra loro, ma davanti a un unico disegno che parte da quel golmî e procede in tappe successive verso una pienezza, inconcepibile senza le fasi precedenti.Già in quella sorgente si vede l'impronta divina, tant'è vero che nell'arte egizia nel grembo della madre era raffigurato un tornio, simbolo della divinità creatrice Khnum in azione. «Sono state le tue mani a plasmarmi e a modellarmi - esclama Giobbe (10, 8-11) -; come argilla mi hai impastato, mi hai colato come latte e fatto cagliare come cacio; mi hai poi rivestito di pelle e di carne, intessuto di ossa e di tendini». C'è, dunque, «l'arte ineffabile di Dio» - come scriveva un sapiente dell'Oriente - già in opera alla radice della creatura, in quell'embrione divenuto quella meraviglia di complessità e di grandezza che è ciascuno di noi ora.
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