mercoledì 12 gennaio 2005
Quando il tedesco che sa scrivere bene si tuffa in una frase, non lo vedi più finché non emerge dall'altra parte del suo Atlantico con il verbo in bocca. Chi ha imparato il tedesco sa cosa vuol dire questa immagine ironica usata da quella malalingua che era lo scrittore americano Mark Twain (1835-1910). Le frasi tedesche col verbo in fondo al periodo rendono sempre ardua e "sospesa" la comprensione diretta del senso. Ma non ho voluto citare tale considerazione per consolare i ragazzi alle prese con questa lingua nelle scuole: quando l'avranno conosciuta bene, potranno godere lo splendore di un capolavoro come il Faust di Goethe. Vorrei, invece, spingere tutti al rispetto della diversità e della complessità che ogni cultura, anzi, ogni persona porta con sé. Quello che a noi pare una stravaganza è in realtà un modo originale e specifico di porsi, di esprimersi, di rivelarsi. Orazio, il grande poeta latino nel suo celebre Carme secolare in onore del dio Sole, ha un'espressione che potremo adattare al nostro discorso: alius et idem, cioè sempre diverso e tuttavia uguale. Le persone che incontriamo - e non solo gli stranieri o coloro che appartengono ad altre religioni - sono certamente differenti da noi e spesso questa diversità è marcata e ci imbarazza, anzi, per qualcuno è fonte di fastidio. Eppure tutti siamo partecipi della stessa umanità, amiamo e odiamo, preghiamo e pecchiamo, speriamo e ci abbattiamo. Quella molteplicità è, allora, solo l'arcobaleno dei colori dell'unica luce che è nelle nostre anime.
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