sabato 6 agosto 2005
Con te io voglio stare tutta notte e combattere fino all'irrompere del giorno. Arrenditi a me ora; io sono debole e, disperando di me stesso, in te confido. Parla al mio cuore con parole di benedizione e dimmi se il tuo nome è Amore. «Sì, Amore, Amore», sento il tuo sussurro nel mio cuore. Intanto irrompe il mattino e fugge ogni ombra: la tua natura e il tuo nome è Amore. Oggi è la festa della Trasfigurazione del Signore e abbiamo voluto scegliere e tradurre alcuni versi della poesia Giacobbe in lotta di Charles Wesley, che fu col fratello John uno dei fondatori del movimento metodista, destinato a imprimere un impulso spirituale alla Chiesa anglicana nel Settecento. In filigrana c'è la scena biblica della lotta che il patriarca biblico ingaggia con un essere misterioso, simbolo di Dio, nell'oscurità di una notte e nella solitudine della riva del fiume Jabbok (Genesi 32). Già il profeta Osea interpretava questa vicenda come una parabola della preghiera, che è talvolta incontro teso e angosciato con Dio: si pensi solo al lungo lamento di Giobbe o alle suppliche del Salterio («Perché Signore?" Fino a quando te ne starai a guardare?»). Ma quella lotta in cui ci si scontra col mistero accecante di Dio alla fine sfocia in un aggrapparci a lui, anzi in un abbraccio. E in quel momento, come nella Trasfigurazione, appare un volto luminoso che squarcia le tenebre, ed ecco le parole che vengono sussurrate al nostro cuore: quel Dio che ci è parso incomprensibile e fin ostile, alla fine ci rivela col suo vero nome che è Amore. È, allora, necessario vivere l'esperienza di fede sapendo che essa comprende anche la notte oscura, la battaglia, l'implorazione ma che ha al termine un'alba in cui fuggono le ombre e, alto e luminoso, rifulge il volto del Signore.
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