sabato 4 febbraio 2006
O cuore mio, non staccarti dal sorriso del tuo Dio, non errare lontano da lui! Colui che veglia sugli uccelli, sulle bestie e sugli insetti, colui che ha preso cura di te quand'eri ancora nel seno di tua madre, non ti custodirà ora che ne sei uscito? Domani nella Chiesa italiana si celebrerà la Giornata della vita, dono che riceviamo e dobbiamo custodire ed esaltare fin dal suo sbocciare, proseguendo poi nella sua crescita, nella sua efflorescenza più splendida e anche quando sembra avvizzire ed entrare nel crepuscolo. Su di essa veglia sempre Colui che l'ha creata: Giobbe, con un'immagine vivace e intensa, vede Dio mentre stringe tra le mani il filo del «respiro vitale di ogni carne umana» (12, 10). Questa presenza divina trascendente è celebrata in tutte le grandi civiltà che considerano la vita come una realtà sacra e non come un puro e semplice evento biologico, come un grumo di cellule e di dinamismi fisiologici. È ciò che ci ricordano anche i versi da noi citati: essi appartengono a uno dei maggiori poeti mistici indiani, Kabir, vissuto nel XV sec., espressione di una spiritualità popolare che talora sconfinava nel panteismo. Restano, comunque, suggestive due componenti di questo breve canto. Da un lato, c'è la certezza della Provvidenza divina che, a partire dal feto (si legga anche il Salmo 139, 14-16), custodisce con premura la sua creatura, pur coi limiti del suo essere, della sua fragile libertà, del vincolo al tempo e alla natura. D'altro lato, c'è quell'immagine - spirituale e poetica al tempo stesso - del «sorriso di Dio». Come il padre e la madre si chinano deliziati sulla loro creatura, anche quando è debole e fin malata, così il Creatore è sempre orgoglioso della sua creatura, anche se imperfetta e fin peccatrice. E «come una madre consola un figlio, così io vi consolerò» (Isaia 66, 13). Dio, quindi, ha non solo un volto paterno ma anche materno e sorride e non abbandona mai il figlio che ha generato.
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