sabato 6 luglio 2002
 I l riso castiga certi difetti pressappoco come la malattia castiga certi eccessi.Nessuno che una volta abbia riso veramente di cuore può essere irrimediabilmente cattivo.È stato detto che il ridere è proprio solo dell"uomo (la iena "ridens" è tutt"altra cosa"). Il filosofo francese Henri Bergson (1859-1941) ha scelto come soggetto di un suo saggio proprio il Riso, per studiare "il significato del comico". Da questo testo, apparso nel 1899, ho tratto la prima citazione. C"è effettivamente una funzione purificatrice del riso che riesce a smitizzare certe arroganze, a colpire il potere, a demolire i luoghi comuni. È per questo che l"ironia è temuta sempre da chi comanda perché essa sa mostrare quando il re è nudo.Nel suo Diario minimo Umberto Eco giungeva al punto di formulare questa specie di legge: «Quello che esce indenne dal riso è valido, quello che crolla doveva morire». E così arriviamo alla seconda frase sopra citata. È di un altro pensatore e scrittore, l"inglese Thomas Carlyle (1795-1881), e la desumiamo da una sorta di romanzo filosofico sarcastico intitolato Sartor resartus. Il riso è anche specchio di bonomia, di serenità, di quiete interiore. Chi non è mai capace di un sorriso, ma è sempre cupo, ingrugnito, ostile, è seriamente malato nell"anima. A questo punto, elogiato il ridere come attività umana benefica, non lasciamo mancare una coda necessaria. Terribile è, infatti, il riso sguaiato, volgare, aggressivo, stupido: «Come crepitio di pruni sotto una pentola, così è il riso degli stolti», dice Qohelet (7, 6).
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