mercoledì 11 maggio 2005
Il giorno in cui morirò, il priore, chiunque egli sia, offrirà a tutti i fratelli, sia in refettorio sia in infermeria, il menù dei giorni più grandi e delle solennità maggiori, ossia buon pane, fave, vino prelibato, pesci fra i più grossi e gustosi. Lo stesso giorno saranno offerti a cento poveri pane, vino e carne. Si celebra oggi la memoria della morte di Pietro il Venerabile (1122-1156), uno dei grandi abati del monastero benedettino francese di Cluny. Ho, così, sfogliato le costituzioni che egli aveva definito per la sua comunità e mi sono imbattuto in questo curioso paragrafo, espressione di una serena e pacata umanità. Spesso, infatti, si connette spontaneamente alla figura del monaco l'idea di un'ascesi quasi masochistica, che scava i volti, scarnifica i fianchi sotto i cilizi, spegne ogni sorriso. Ecco, invece, come questo abate parla della sua morte, e soprattutto come egli ne prepara il "lutto"; quel giorno, che ai suoi occhi è di luce e di speranza, deve dare il via a una vera e propria festa, con un robusto banchetto e con un benessere che si allarga anche ai poveri. La vera ascesi è, come dice il termine greco, "esercizio" che però non prostra né umilia ma allena ed esalta, crea personalità generose e festose. Il realismo, l'attenzione ai valori anche concreti, la pace e la letizia sono doni che non si incontrano nei gaudenti sfrenati che alla fine assaporano solo l'amaro dell'eccesso e non sanno gioire e gustare con sapienza e finezza. Sono i veri "asceti" a insegnarci questa festa del corpo e dello spirito.
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