sabato 17 dicembre 2011
Nella nostra epoca gli uomini sembrano più portati a confondere la saggezza con la dottrina e la dottrina con l'informazione. Si sta sviluppando una nuova specie di provincialismo, fatto non di spazio ma di tempo: il mondo è proprietà esclusiva dei vivi, una proprietà di cui i morti non possiedono azioni.


È morto da quasi mezzo secolo, nel 1965, eppure le parole di uno dei massimi poeti del Novecento, Thomas S. Eliot, colpiscono nel segno la società e la cultura in cui oggi viviamo. Non
è forse vero che anche la scuola si sta adeguando a venerare la nuova trinità "Internet-Inglese-Impresa", fissandosi tutta sul presente, sull'utilitarismo, sull'informazione? È un provincialismo temporale (e non solo spaziale: c'è anche quello): la grande eredità civile, culturale e spirituale del passato è ormai ostracizzata o ignorata; ben altre sono le questioni che premono, quelle appunto dell'efficienza, della logica di mercato e di consumo, della produttività.
E, così, si scambia la sapienza, che è visione d'insieme, con le teorie di una tecnica sofisticata ma disumana e amorale, e si confonde la dottrina teorico-pratica con una superficiale informazione. È, dunque, necessario non aver timore di riproporre, anche nella religione, la conoscenza seria del grande lascito che sta alle nostre spalle, evitando la riduzione all'immediato, all'utilitaristico, alla superficialità. Bisogna ritornare al rigore della ricerca non solo scientifica, ma anche umanistica. Aveva ragione il filosofo francese Jean-Jacques Rousseau quando, nella Nuova Eloisa, scriveva: «L'arte di interrogare non è facile come si pensa. È arte più da maestri che da discepoli: bisogna aver già imparato molto per saper domandare ciò che non si sa».
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: