giovedì 3 aprile 2014
La primavera giunge con i suoi tepori e non è raro trovare sulle nostre strade meravigliosi mandorli in fiore, spesso solitari in mezzo ad alberi spogli. Una visione simile l’ebbe un tempo il profeta Geremia.In uno dei momenti più critici dell’attività del profeta, quando ormai la speranza di ritrovare fede e sicurezza a Gerusalemme sembrava perduta a causa del re di Babilonia che premeva alle porte della città, Dio chiama Geremia a vedere in modo nuovo le cose che gli stanno attorno. Alla domanda divina:«Cosa vedi Geremia?» il profeta rispose:«Vedo un ramo di mandorlo». Mandorlo in ebraico si dice shaqued, che significa il vigilante. Così Dio, risponde giocando sull’ambivalenza della parola: «Hai detto bene: io, infatti, vigilo (shoqued) sulla mia Parola per realizzarla». Dio chiede a Geremia di non fidarsi delle apparenze e di arrendersi a Babilonia per avere salva la vita. Una scelta controcorrente che il popolo non sarà in grado di fare. Il mandorlo compare nella Scrittura come simbolo di novità e di vita a dispetto di un panorama invernale, segnato dalla morte.
Alessandro Bonvicino, artista bresciano considerato uno dei grandi esponenti del rinascimento e chiamato Il Moretto per il nome del nonno, dipinse Geremia mollemente appoggiato a un albero di mandorlo. Benché la visione del ramo di mandorlo imponga al profeta di guardare verso il cielo, egli abbassa gli occhi a terra e guarda il cartiglio che tiene in mano. Sopra di esso si legge il passo: «Ero come un agnello mansueto portato al macello, non sapevo che essi tramavano contro di me» (Ger 11,19). Qui Geremia allude a se stesso ma in realtà annuncia Cristo. È quest’Agnello la Parola sulla quale Dio vigila. Il Moretto unisce i due passi del profeta per farci comprendere che, come Geremia, anche noi siamo chiamati a scorgere dentro le trame dei nemici la strada della salvezza, anzi la Presenza del Salvatore. Il mandorlo compare anche nella vita di Giacobbe, il quale si addormentò sopra un guanciale di pietra in prossimità di una città chiamata Luz, che significa mandorla. Qui vide la famosa scala di Giacobbe, cioè le porte della città di Dio. Pertanto si crede che le porte della città di Luz, intesa come città della luce, si nascondano presso le radici di un mandorlo. Le trova solo chi è in grado di guardare la vita e la realtà andando oltre le apparenze. Anche noi, dunque, pur dentro il panorama talora inquietante della storia siamo chiamati a trovare, contro ogni apparenza, il passaggio della speranza.
Il mandorlo affascinò profondamente anche Vincent van Gogh. La nascita del nipote, figlio del fratello Theo, cui fu dato il suo stesso nome, fu per lui motivo di rinascita. Per il bimbo, van Gogh, dipinse un bellissimo mandorlo su campo azzurro. L’artista racconta al fratello quanto la fioritura di quest’albero incantasse il suo animo fino a fargli dimenticare le sofferenze psichiche delle quali soffriva. Furono queste che gli impedirono, alla fine del suo ultimo inverno, di dipingere più e più tele sul mandorlo. 
Tuttavia del mandorlo ci rimangono diverse versioni nelle quali si vede la passione di Vincent per la pittura giapponese. Forse, il non aver potuto dipingere, in quell’assolato luglio del 1890, la rasserenante bellezza del mandorlo, lo lasciò scivolare nel baratro che lo portò al suicidio. Tutto questo è monito anche per noi: le avversità devono essere occasione per irrobustirci nella speranza e darci la forza di credere anche oggi nell’intervento di Dio, il quale sempre, vigila sulla sua Parola per realizzarla.


Immagini
Il Moretto, Profeta Geremia, 1535 circa, 153×62; olio su tavola centinata Pinacoteca del Castello Sforzesco, Milano
Vincent van Gogh, Ramo di mandorlo fiorito, 1890, olio su tela, 73,5 cm × 92 cm Van Gogh Museum, Amsterdam


© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI